giacomo agostini

“NESSUNO CREDEVA CHE CE L’AVREI FATTA” - LA VITA SPERICOLATA DI GIACOMO AGOSTINI, 82 ANNI DA LEGGENDA DEL MOTOCICLISMO – “NON SONO STATO UN SANTO, ANCHE IO BEVEVO WHISKY E AMAVO LE BELLE DONNE, MA SOLO DALLA DOMENICA SERA AL GIOVEDÌ. NIENTE SESSO PRIMA DELLE GARE? MI CAPITÒ SOLO UNA VOLTA, UN SABATO. NON CHIUSI OCCHIO TUTTA LA NOTTE. POI LA DOMENICA VINSI. MA AVEVO DISCIPLINA. FUI IL PRIMO AD AVERE IL PREPARATORE ATLETICO. MI PRENDEVANO IN GIRO” – I NO A ENZO FERRARI CHE GLI OFFRI’ DI GUIDARE LA ROSSA E AL REGISTA PIETRO GERMI - LA SIGNORA CHE ALZAVA LA GONNA PER SALUTARLA QUANDO CORREVA IL TOURIST TROPHY: “NON ERA QUELLO A DARMI L'ADRENALINA, MA…” – VIDEO

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Marco Consoli per “il Venerdì - la Repubblica” - Estratti

 

Quando è salito l'ultima volta in moto?».

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«Un'ora fa. Ogni giorno la prendo e faccio un giro, vado in banca o a fare le commissioni. Per me è come una seconda casa. Ogni volta che ho mal di testa o sto poco bene, mi basta saltare in moto e mi sento meglio».

 

A rispondere al telefono, da Bergamo, è Giacomo Agostini, 82 anni, che in un mondo di campioni celebratissimi come Valentino Rossi, Cristiano Ronaldo, Lewis Hamilton, LeBron James, è una leggenda, vera: 15 volte campione del mondo, nelle classi 350 e 500, record tuttora imbattuto, e 10 vittorie nella durissima gara del Tourist Trophy, per un totale di 313 vittorie in carriera. «Ho vinto anche 18 campionati italiani», aggiunge con una punta di orgoglio.

 

A celebrarlo è ora Ago, documentario di Giangiacomo De Stefano, al cinema dall'11 al 13 marzo, in cui se ne raccontano carriera e vita privata: dagli esordi al sodalizio con MV Agusta, fino al "tradimento" con Yamaha, i ruggenti anni 60, la bella vita, le donne (e poi la moglie), i fotoromanzi, il cinema, gli avversari, le tragedie del motociclismo, il ritiro e il breve flirt con le quattro ruote, prima di diventare team manager.

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«Ho sempre e solo voluto correre in moto, fin da quando bambino fregavo di nascosto il Galletto Moto Guzzi a mio padre», racconta. «Poi a nove anni ho avuto l'Aquilotto della Bianchi. È iniziato tutto così. Nessuno aveva la passione per le moto in famiglia. Mio padre chiedeva a mia madre: ma da dove arriva questo qui?».

 

(...)

 

Cosa la spingeva a correre?

«Il brivido della velocità e il desiderio di competere. Quando gli amici mi dicevano "andiamo a fare una passeggiata in moto" io mi annoiavo».

 

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Cosa l'ha resa un campione invincibile?

«Il talento, ma anche il modo meticoloso in cui mi preparavo: sono stato il primo ad avere il preparatore atletico. Allora mi prendevano in giro. E poi la disciplina. Non sono stato un santo, anche io bevevo qualche bicchiere di whisky e amavo le belle donne, ma solo dalla domenica sera al giovedì».

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Niente sesso prima delle gare?

«Mi capitò solo una volta, un sabato.

Non chiusi occhio tutta la notte. Poi la domenica vinsi lo stesso, ma capii che "praticare" dalla domenica al giovedì bastava».

 

Mike Hailwood fu un avversario ostico.

«È stato difficile superarlo, ho dovuto osservarlo a lungo. Ho imparato tanto da lui. E anche da Renzo Pasolini. La nostra rivalità mi ha avvicinato alla gente, prima della sua tragica morte (sul circuito di Monza il 20 maggio 1973, ndr)».

All'epoca morivano tanti piloti. Lei come è "sopravvissuto"?

«Sapevo che il mio mestiere comportava quel rischio, ma pensavo non mi sarebbe mai accaduto. Ho avuto fortuna e ho sempre cercato di stare attento a non cadere: alla mia epoca le protezioni sui circuiti erano inesistenti e le tute sottilissime».

 

Lei è stato uno dei primi a spingere sulla sicurezza, proprio a partire dalle tute.

«Con Dainese ne abbiamo creata una rinforzata. All'epoca una tuta pesava un chilo, oggi ne pesa nove».

 

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 Cosa direbbe a chi non ha mai provato ad andare in moto per convincerlo a provare? «L'auto è più sicura e ti puoi mangiare un panino al volante, ma mentre l'auto ti porta, sei tu che porti la moto. È come andare a cavallo, come danzare».

 

Nella sua vita ha espresso due grandi rifiuti: a Enzo Ferrari, che le propose di guidare una sua auto, e a Pietro Germi che le offrì la parte da protagonista in un suo film.

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«L'ingegnere lo incontravo sempre a Modena, perché provavo sulla stessa pista. Mi fece pilotare una Ferrari e andai benino. Quando mi offrì di guidarne una in pista non dormii per tre notti di fila, ma poi mi ricordai che la mia vera passione era per le due ruote. Quando rifiutai mi disse "Bravo".

 

Con Germi accettai, anche se gli dissi che, pur avendo fatto tre filmetti, uno dei quali con Bruno Corbucci (Bolidi sull'asfalto – A tutta birra!), non ero un attore. Mi disse di non preoccuparmi e mi mandò il contratto, ma quando vidi che la lavorazione iniziava alla ripresa del motomondiale rifiutai. Ci restò molto male».

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A proposito di gonne, si dice che una signora che abitava sul tracciato del Tourist Trophy alzasse la gonna per salutarla quando lei correva quella gara.

«È vero, era vestita tutta di bianco. E quando passavo alzava il vestito. Non era quello a darmi l'adrenalina, ma il circuito, il più bello su cui abbia mai corso. Eccezionale, ma anche pericolosissimo: ci sono morti 270 piloti. Quel circuito resta ancora terribile, ma per fortuna oggi le gare sono più sicure».

 

Prima di lasciarla le chiedo una cosa: tra poco ricomincia la MotoGP, previsioni?

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«Credo sarà un bel campionato perché sia Ktm, sia Aprilia e sia Ducati hanno dei bei piloti. Ma penso che per il titolo se la giocheranno Bagnaia e Marquez».

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