L’ITALIA DEL CALCIO NON C’E’ PIÙ – L’ATLETICO DI SIMEONE FA FUORI IL MILAN: NESSUNA ITALIANA NEI QUARTI DI CHAMPIONS, UN PESSIMO SEGNALE PER PRANDELLI – COLPA DI UN CAMPIONATO ‘POCO ALLENANTE’ (CAPELLO) O DI UN GIOCO ‘TROPPO DIFENSIVISTA’ (SACCHI)?

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Francesco Persili per ‘Dagospia'
L'Italia del calcio non c'è più. Storia e tradizione, purtroppo, non scendono in campo. Il Milan naufraga contro l'Atletico e saluta la Champions. Nessuna italiana ai quarti come nel 2007, un pessimo segnale per la Nazionale di Prandelli a pochi mesi dai Mondiali. Colpa del campionato «poco allenante» come sostiene Fabio Capello oppure di un «calcio difensivista, individuale, specialistico, contrastante con il resto d'Europa», come dice Sacchi?
Ci sarà tempo per approfondire le ragioni della crisi di gioco e di risultati delle nostre squadre. Ma intanto l'Atletico è apparso di un altro pianeta. La differenza col Milan non riguarda solo il ritmo e l'intensità di gioco ma anche l'organizzazione tattica, la ricerca della profondità, il cuore che conta sempre un po' di più della tecnica e della tattica (Seedorf dixit).
«Sin miedo, pero con cautela». Simeone l'aveva preparata così la partita contro i rossoneri. Senza paura, ma con giudizio. La vittoria in trasferta per uno a zero, del resto, non metteva l'Atletico al riparo dal rischio rimonta. Non si fidava il Cholo della squadra di Seedorf, in particolare, temeva il centrocampo rossonero: le incursioni di Poli, la posizione tra le linee di Taarabt, le fiammate di Kakà, ancora più delle giocate di Balotelli. L'obiettivo dichiarato prima della partita era quello di soffocare le fonti di gioco avversarie e tagliare i rifornimenti per SuperMario.
Passano poco più di 120 secondi e l'Atletico ha già minato le velleità di ‘remontada' del Milan. Cross dalla destra che sorprende Rami e colpo da ‘Karate Kid' di Diego Costa che spacca la partita. I colchoneros perdono campo, dopo il pareggio di Kakà soffrono e vedono le streghe per un colpo di testa del brasiliano alto sopra la traversa, ma poi con Arda Turan (tiro deviato da Rami) e Raul Garcia dilagano. Prima del quarto gol realizzato ancora dall'hombre del partido, al 29esimo centro stagionale, il quinto in Champions. Dopo 90 minuti senza tregua, Simeone può respirare: «In due anni e mezzo abbiamo costruito una squadra, il nostro merito è sapere quali sono i nostri limiti e le nostre virtù».
Trabajo e sudor. Spirito di gruppo e sacrificio. Il manifesto del ‘cholismo', una filosofia che trova il suo teatro di elezione naturale nel Vicente Calderon. Lo stadio, che entro il 2016 sarà demolito, esplode di felicità, i tifosi biancorossi si fanno prendere la mano dal vintage e si esibiscono nella ‘ola', un grande classico delle notti magiche di Italia '90 riesumato in riva al Manzanarre per festeggiare la qualificazione ai quarti che mancava da 17 anni.
«Speriamo di poter arrivare alla finale, ma sappiamo che sarà difficile perché ci sono squadre più forti di noi», spiega Diego Costa che in campo ha stravinto il duello con Balotelli.
La forza del collettivo di Simeone viene esaltata dalla presenza dell'attaccante ispano-spagnolo che si danna l'anima, propone e rincorre, è un punto di riferimento per tutti. Prendi il contropiede da manuale all'inizio del secondo tempo aperto da Arda Turan per Diego Costa che taglia da sinistra verso destra, porta a spasso la difesa rossonera e rifinisce per Gabi che scheggia la traversa. Calcio in verticale e un attaccante ‘bestiale'. Veder giocare Diego Costa è vitalità contagiosa, adrenalina pura per i compagni e per chi ama il calcio. Non è solo un bomber, è un centravanti moderno. A tutto campo. Un trascinatore.
E pensare che su di lui l'Atletico neanche puntava. Lo aveva praticamente venduto prima dell'infortunio che gli salvò la carriera. Diego Costa andò in prestito al Rayo Vallecano, segnò dieci gol in sedici partite e tornò alla casa madre per diventare a suon di reti l'erede di Falcao e dei grandi attaccanti colchoneros: Baltazar, Kiko, Vieri, Torres.
Lui, il centravanti dal doppio passaporto che ha giocato due partite col Brasile prima di scegliere la Spagna. «Perché questo è il Paese che mi ha dato la possibilità di realizzare tutto quello che ho fatto». E perché Del Bosque gli ha assicurato un posto ai Mondiali. Anche se lui si schermisce: «Per andare in Brasile devo continuare a giocare bene e ad allenarmi con serietà». Sin miedo e sin pausa. Senza paura e senza pause. Un centravanti dominante. Anche se contro Paletta non l'ha presa mai. E forse questa è l'unica notizia positiva per Prandelli a meno di 100 giorni dall'inizio dei Mondiali.

SIMEONE KAKA DIEGO COSTA