DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
Francesco Saverio Intorcia per la Repubblica
L’uomo in più del Real contro la grande bellezza di Sarri, l’individualità del talento contro la costruzione del collettivo. L’incrocio fra Cristiano Ronaldo e il Napoli non è solo il principale tema tattico della notte del Bernabeu. È, soprattutto, la dialettica fra due opposti universi. Il solista e l’orchestra. La creazione naturale e il lavoro artificiale dell’uomo. Il genio e la ragione.
L’inconciliabilità però è solo apparente, se pure il tecnico del Napoli, massimo filosofo del collettivo, capace ogni volta di rianimare la sua creatura dopo aver perso l’attaccante più importante, arriva comunque ad ammettere che non gli dispiacerebbe mica, se gli comprassero uno così: «Avrei preferito che con noi ci fosse il Pallone d’oro, più del premio Oscar».
Una battuta per salutare la presenza del regista Paolo Sorrentino fra gli invitati di De Laurentiis e spiegare che, a giudizio dell’allenatore, l’imprevedibilità dei fuoriclasse resta necessaria a salvare l’esistenza stessa del gioco e dello spettacolo. Al di là di ogni impianto tattico. Stima ricambiata, dal momento che CR7 ha ribadito più volte: «Mi piace il Napoli e il suo gioco, l’ho visto con il Benfica e mi ha dato l’idea di un gruppo molto forte. E sono contento per quello che sta facendo Callejon».
Lui, Cristiano, in questa vigilia si è visto poco, è rimasto mimetizzato in palestra fino a lunedì, lamentando i postumi di un colpo al ginocchio destro, ha guadagnato il gruppo solo ieri. Viene da un anno stellare, l’Europa conquistata con i blancos e con il Portogallo, e poi il mondo, e il Pallone d’oro, e il primato fin qui confermato nella Liga. Se c’è una macchiolina, nella stagione in corso, è il girone di qualificazione in Champions, dove non segna da quattro partite.
Un’eternità per chi detiene il record di gol nella competizione e conta di diventare centenario già in questa edizione. Però a Madrid sanno che negli ottavi cambia tutto. Sono il suo terreno di caccia, il momento in cui mette il costume da supereroe e diventa davvero decisivo. Proprio negli ottavi Ronaldo va a segno da dieci partite consecutive. E in questo turno della coppa, in particolare, ha segnato già 15 reti. Un anno fa eliminò la Roma, gol all’andata e al ritorno.
Nei due anni precedenti lo Schalke, che pure era stato avvisato: a segno in 4 incontri su 4. Andando più indietro, lo United, da ex, anche qui segnando in entrambe le sfide. E prima ancora il Cska Mosca, una rete all’andata, due al ritorno. Insomma, negli scontri da dentro o fuori, risolve sempre lui. Basta sedersi e aspettare.
Si può fermare un giocatore così? Secondo Albiol, che ha giocato con lui per quattro stagioni alla Casa Blanca, «non servono marcature individuali ma una grande prestazione difensiva collettiva, anche perché il Real non è mica solo Ronaldo, anche se lui è il migliore al mondo e c’è poco da dire». Però la fiducia cieca che Zidane ripone nel portoghese spiega molte altre scelte, ad esempio la luce riflessa di cui gode Benzema.
Il francese è nel mirino della critica, è andato bene in Europa ma male in campionato, eppure continua a essere preferito a Morata e al resto della compagnia. In pochi si spiegano il perché, ma il motivo forse è semplice: è il compagno prediletto di Ronaldo, quello che gli fa spazio ma non ombra, e che gli permette di giocare dove vuole, senza dire permettete. Nell’attacco del Real, insomma, tutto ruota intorno all’uomo in più.
Ulteriore prova di forza, CR7 fra l’Europeo e il Pallone d’oro ha lentamente conquistato gli apprezzamenti di Maradona, non proprio scontati, considerando i trascorsi del Pibe al Barça e l’adozione calcistica del grande nemico Messi. Prendersi gli applausi dal vivo di Diego, stasera, significa per Ronaldo strappare un altro pezzo di mondo dall’universo che corre parallelo.
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