DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
Francesco Persili per Dagospia
La panchina logora chi ce l’ha. “Il Manchester City sarà una delle ultime squadre che allenerò, sicuro”. Guardiola è solo l’ultimo dei tecnici a pagare dazio allo stress da prestazione. All’ossessiva “ricerca della partita perfetta”, come raccontato dall’amico regista del tecnico catalano, David Trueba.
E’ il logorio del calcio moderno fatale già all’uomo che col Milan rivoluzionò il calcio, Arrigo Sacchi, costretto dall’ansia e dalla tensione prima a lasciare la panchina del Parma e poi anche il ruolo da coordinatore tecnico delle nazionali giovanili dell’Italia. Tutta colpa del “tarlo del perfezionista” che iniziò a divorarlo già dai tempi del Milan: “Tanto tra un anno smetto”, disse il profeta di Fusignano a Berlusconi all’atto di firmare il suo primo contratto (annuale) con il club rossonero.
“Non mi è mai mancato allenare, non volevo tornare indietro e ripetermi, preferivo cambiare e rinnovarmi”, disse Johan Cruyff dopo la fine della sua esperienza sulla panchina del Barcellona nel 1996. Basta sfogliare le pagine della straordinaria autobiografia (“La mia rivoluzione”) del tecnico olandese scomparso nel marzo 2016 per comprendere il suo livello di coinvolgimento professionale ed emotivo nella costruzione del Dream Team blaugrana e quel senso di “missione” che accompagnò la sua avventura nel calcio: “La mia carriera ha condizionato la mia famiglia. Siamo uniti tra noi e abbiamo cercato di farci influenzare il meno possibile dal folle mondo esterno”. Non tutti riescono a tenere botta.
“La cintura di sicurezza si era fatta stretta, per questo l’ho slacciata”, disse Guardiola nel 2012, nel prendere congedo dal Barcellona in un tripudio di emozioni. “Viva la vida” dei Coldplay, la colonna sonora dei successi sparata a tutto volume al Camp Nou, un popolo in amore che srotola lo striscione «T’estimem Pep», ti vogliamo bene Pep, per salutare l’allenatore più vincente e il figlio prediletto del club logorato da una stagione ad alta tensione: la doppia malattia che aveva colpito Abidal e il suo vice Vilanova, i dissidi nello spogliatoio, le guerre mediatiche con Mourinho: Guardiola se ne andò a New York per un anno sabbatico schiacciato dallo stress, inseguito dalle polemiche col presidente Rosell e accompagnato dalle parole del suo biografo Guillem Ballaguè:
“Un leader, un modello a cui ispirarsi, il marito ideale, il fidanzato che avete sempre sognato, l’amico con cui prendere una birra il sabato. Un uomo generoso, calmo, educato. Immaginate dover rappresentare tutti questi ruoli. Il peso di tutto questo, la pressione. Adesso riuscite a capire perché se ne è dovuto andare?”.
Under pressure. Sotto pressione, non è facile allenare. Van Basten ha dovuto mollare la panchina dell’Az Alkmaar, Guidolin e Mazzarri hanno avuto bisogno di una pausa, Luis Enrique si è rifugiato nella sua grande passione (il ciclismo) per dimenticare le amarezze del suo anno alla Roma. Non tutti sono come l'inossidabile Mourinho o come
Zeman che allenerebbe fino a 80 anni. Guardiola, a 45 anni, già si vede nel prossimo futuro su un campo da golf. “Forza Pep, sei solo stressato perché le cose non vanno come vorresti. Ma noi ti amiamo. Beviti una birra e rilassati”, ha scritto su Twitter “Bum Bum” Becker. Detto dall’ex tennista tedesco, che ha confessato di aver fatto largo uso durante la sua carriera di sonniferi e alcol per combattere lo stress, fa un po’ sorridere. Beviti una birra e fatti una risata, Pep.
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