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Francesco Saverio Intorcia e Matteo Pinci per “la Repubblica”
Il primo campionato italiano, lo scudetto non era ancora stato inventato, lo decise un’ala sinistra londinese, Norman Victor Leaver: era il 1898, la sua rete all’International Torino assegnò il titolo al Genoa. La squadra più antica, fondata da inglesi, aveva 14 stranieri, due terzi della rosa, e schierò dall’inizio 6 italiani.
Erano quelli giorni da pionieri, il pallone un segreto da carpire ad Albione. Il primo straniero a varcare la frontiera dopo la riapertura, nell’80, fu invece l’olandese Van de Korput: si presentò al Toro con un’autorete in Coppa Uefa, non bastassero le perplessità legate al suo cognome da lassativo.
Il record consumato sabato da Inter e Udinese, 22 stranieri in campo dal primo minuto, segna un punto di non ritorno, proprio nella stagione in cui l’introduzione delle rose bloccate (25 giocatori, 4 dal vivaio domestico, 4 cresciuti in Italia) avrebbe dovuto, nei proclami del presidente federale Tavecchio, aiutare la Nazionale di Conte, insieme al progetto di 200 centri federali territoriali.
«E invece sono norme sbagliate, l’avevamo detto - attacca Damiano Tommasi, n.1 Aic - non tutelano i vivai, manca quello step fra settore giovanile e prima squadra che aiuti i nostri giovani a maturare».
L’idea di introdurre le seconde squadre (in Lega Pro, fuori classifica, per far crescere i talenti in un campionato più competitivo di quello Primavera), era nel programma elettorale di Demetrio Albertini. Contrario il n.1 di Lega Pro, Mario Macalli, che sosteneva Tavecchio.
Due anni dopo, il suo successore Gabriele Gravina ha rilanciato l’idea, con una proposta inviata proprio al presidente federale e la disponibilità a partire subito, dalla prossima stagione. Tavecchio oggi non è contrario, ma la riforma non è sul tavolo: finirà, di nuovo, al centro della prossima campagna elettorale, in vista del voto fra nove mesi. E in ogni caso non è pensabile una norma che distingua gli italiani dagli altri comunitari.
Nel ‘66 l’Italia chiuse le frontiere per reagire alla prima Corea, le riaprì nell’80, uno straniero per squadra. Divennero due nell’82, tre nell’88, ma è stata la sentenza Bosman nel ‘95 a sconvolgere definitivamente le proporzioni. Prima, gli stranieri in A erano il 15%. In tre anni, erano già il 34%. Il sorpasso sugli italiani, per numero di giocatori impiegati e minutaggio complessivo, è stato registrato nel 2011/2012.
In A oggi i gol segnati gli azzurrabili sono il 43,8%, i minuti giocati non superano la metà (48,8%). La forbice si allarga considerando le prime 10 squadre del campionato, che, in media hanno schierato italiani per il 37% del tempo, e stranieri per il 63%. Nell’Inter, gli italiani hanno messo insieme 3677 minuti.
Karnezis, il portiere, greco, dell’Udinese, 3150 da solo. Un modello diverso viene dal Sassuolo: Di Francesco impiega italiani per il 79% del tempo. L’ad Giovanni Carnevali: «Il nostro è un progetto vincente che seguiamo ormai da tempo, abbiamo solo tre stranieri in rosa, la nostra scelta è giusta».
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