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Paolo Ziliani per "il Fatto Quotidiano"
rocchi horror gazzella dello sport
Ora che l’arbitro Rocchi è andato in tivù al – Processo del Lunedì, RaiSport1 – a dire di avere mal gestito l’episodio del rigore concesso alla Juve per il mani di Maicon (“Diciamo che una gestione non equilibrata dell’episodio probabilmente ha creato tensioni tra i calciatori e nei confronti dell’arbitro: quindi potrebbe essere questa la chiave di lettura per capire poi cos’è successo durante la partita.
Da questo punto di vista una responsabilità credo di averla”), prendendosi precise colpe per il pasticciaccio brutto di Juventus-Roma 3-2 e spiazzando persino il suo presidente, l’innocentista Nicchi (“Questa gara all’estero sarebbe stata considerata normale e le immagini direbbero che Rocchi non ha sbagliato niente”), una domanda sorge spontanea: era necessario far passare 15 giorni, uno più rovente dell’altro, prima di provare a gettare un po’ di acqua sul fuoco?
Se Rocchi l’avesse fatto la sera stessa, a freddo, dopo aver visto le immagini televisive, e avesse chiesto scusa come fece Concetto Lo Bello nella leggendaria – e mai più ripetuta – apparizione alla Domenica Sportiva del 20 febbraio 1972, quando rivedendo Bigon cadere a terra spinto da Morini nel match-scudetto Juventus-Milan 1-1, disse: “Ho sbagliato, era rigore”, forse il truculento grandguignol che ci accompagna da due settimane ce lo saremmo risparmiato.
E DIRE che sugli arbitri che non parlano, non rispondono, non comunicano aveva cominciato a porsi domande, agli albori del Terzo millennio, persino l’allora presidente federale Franco Carraro, detto Tutankhamon. Che nel chiuso del suo sarcofago s’era messo in testa l’idea meravigliosa di spedire a scuola di comunicazione, nientemeno che dal professor Maurizio Costanzo (onorario: 100 mila euro), i cinque ex arbitri dotati di miglior appeal: Bettin, Guidi, Luci, Rosario Lo Bello e Nicchi (proprio lui, il presidente di oggi), con l’aggiunta tardiva di Boggi e Fabbricatore.
Correva l’anno di grazia 2003, la banda-Moggi stava già facendo scempio della regolarità dei campionati (lo dice la Corte d’appello di Napoli nella sentenza-Calciopoli: “Regolarità falsata da un sistema operante dagli anni 1999-2000”), ma i magnifici 7 studiarono indefessi per diventare i Fiorello col fischietto: dopodiché, promossi dal Rettore Magnifico, vennero spediti nelle trasmissioni disposte ad accoglierli (Sabato Sport di Rai3, Domenica Sportiva di Rai2, Processo del lunedì di Biscardi di La7: gli altri si rifiutarono inorriditi) e nessuno si accorse mai di loro, se non i malcapitati telespettatori dei 3 programmi obbligati a fare subito zapping. Forse l’idea dell’ex arbitro che tromboneggia per giustificare una decisione contestata di un giovane collega non era il massimo.
geronzi nicchi foto mezzelani gmt
A capirlo in anticipo era stato Graziano Cesari che la sera di domenica 24 marzo 2002, al termine di un acceso Inter-Roma 3-1, contestato dai giallorossi si presentò ai microfoni di Domenica Sportiva e Controcampo spiegando il perché delle decisioni discusse. Risultato: carriera finita (quella di arbitro) e carriera cominciata (quella di commentatore tele visivo).
Luciano Moggi visto da Emanuele Fucecchi
Miseramente naufragato l’esperimento degli ex arbitri piacioni, il capolavoro si compì nella stagione della vergogna, la 2004-2005, quella darà il la al processo-Calciopoli, Moggi e i suoi arbitri squalificati e la Juve in B. Il trust di cervelli capitanato da Tutankhamon Carraro annunciò che i compagni di merende di Moggi, i designatori Bergamo e Pairetto, avrebbero vergato ogni martedì, sulla Gazzetta dello Sport, voti e pagelle dei loro arbitri (teleguidati).
Fu uno spasso mai visto. Le peggiori nefandezze dei De Santis, Bertini, Pieri & paccottiglia moggiana trovavano ogni volta una giustificazione, un’assoluzione. Una schifezza tale che la Gazzetta stessa decise, a un certo punto, di finirla lì: proseguire non era possibile, la presa per il sedere rischiava di provocare effetti catastrofici.
E così, mentre Tavecchio scrive alla Fifa per chiedere l’introduzione di un ulteriore arbitro che segua la partita in tv a bordo campo e soccorra chi dirige in campo (do you remember Zidane espulso a Berlino per la testata a Materazzi?), pare con buone speranze di essere esaudito (così almeno si diceva lunedì al Processo di Biscardi), di obbrobrio in obbrobrio eccoci arrivati al 2014, non si sa bene se dopo o avanti Cristo.
C’è un arbitro, Rocchi, che ne combina più di Bertoldo ma che avverte il dovere di dire, sia pure a distanza di tempo: “Ho sbagliato, mi prendo le mie colpe”. Normale? No, inaudito (per il pianeta Pallone). E però diciamolo: passasse alla storia come l’apripista di una nuova era, in fatto di comunicazione arbitrale, Rocchi si sarebbe guadagnato il perdono di tutti. Persino dei romanisti.
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