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Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera”
È stato un campionato fuori dall’ordinario per molti motivi. È stato vinto dalla Juve in modo non comune, molto distacco prima, molto vantaggio dopo. Ci sono state a lungo altre quattro squadre in testa alla classifica, fatto abbastanza eccezionale. C’è stata una differenza netta tra le migliori e le altre, questo ha portato a lunghe serie di vittorie consecutive anche oltre il record della Juve.
La diversità di forza ha costretto le altre squadre a un gioco difensivo sia pure mascherato da tentativi di possesso palla, un piccolo catenaccio avanzato di qualche metro. Il gioco è stato a tratti spettacolare per intensità e importanza del risultato, non troppo per qualità pura. È soprattutto mancata Milano, ne discutiamo da tempo. Ora che il problema non si dimostra più occasionale, si comincia a capire il peso di questa assenza su tutto il calcio italiano.
È il ridimensionamento complessivo di un evento, non solo la crisi di una città. Il campionato in se stesso vale meno, qualunque siano le squadre che ne approfittano, perché manca competitività generale, diminuiscono le partite incerte, quindi la qualità di tutti. Diminuiscono i soldi che girano, le occasioni e le scommesse tecniche che hanno tenuto in piedi l’evento per tutto il dopoguerra. Come giocare senza la Juve, non è lo stesso campionato. In poche parole, la crisi di Milano è la vera crisi del calcio italiano.
Avremo sempre spettacolo, saremo sempre tutti bravi a montarlo, ma ci saranno meno sostanza, meno soldi e di conseguenza meno possibilità internazionali. Ho l’impressione che la prima a non aver capito sia la città. Si sono rovesciati due mondi che sono stati un vero riferimento di Milano negli ultimi 70 anni, ma tutto si risolve quasi con la sola curiosità di chi sarà il prossimo acquisto, qualunque sia. È cambiato il tempo, può cambiare il calcio a Milano. Ma non con questa totalità, con questa incompetenza generale, questo fatalismo ingordo solo di presente, nessuna domanda, nessun interesse vero, forte.
Penso ai tifosi, ma penso anche alla grande imprenditoria milanese che da sola ha fatto del calcio in città un’impresa unica. Non si sta nemmeno come sugli alberi le foglie, si è solo dentro un piccolo abbandono cieco, la vera strategia comune è incrociare le dita. Andrà certamente tutto bene, torneranno i bei tempi, qualcuno provvederà, ma la vecchia capitale fisica del paese non dipende più da se stessa. Il calcio lo sente, ne soffre. Milano no, si accontenta di non capire. È questo fluido silenzioso che allunga la malattia.
BERLUSCONI, LA RUSSA, GALLIANI ef
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