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Maurizio Battista per “L’Arena”
Tra Paolo Biasi, vale a dire la Fondazione Cariverona di via Forti, azionista forte di Unicredit, e i vertici della banca, vale a dire l' ad Federico Ghizzoni, cresce il gelo. Il malcontento per le performance deboli dell' istituto di credito è cresciuto ancora di più ieri quando il titolo ha lasciato sul terreno di Borsa una perdita del 5 per cento, segno che i mercati non hanno reagito bene al piano di tagli ed esuberi presentato da Ghizzoni e che prevede 18.200 dipendenti da tagliare in tutta Europa di cui 6.900 in Italia. E non si sa ancora quanti a Verona. Una prospettiva che mette in allarme anche la politica locale.
Ma c' è anche un altro capitolo, anche se può sembrare secondario, che sta rimbalzando sempre più forte nel mondo finanziario e che viene considerata la spia del malessere tra Cariverona piazza Gae Aulenti a Milano dove si trova la sede centrale della banca: le dimissioni da Unicredit del sindaco che rappresentava la Fondazione Cariverona, il commercialista Giovanni Battista Alberti.
Alberti se n' è andato per «dissenso personale» nei confronti del management per vari motivi ma il principale è soprattutto uno: la chiusura in fretta e furia dell' inchiesta interna sul vicepresidente Palenzona, il suo braccio destro Roberto Mercuri e i presunti rapporti con personaggi della criminalità in base all' inchiesta della Procura di Firenze.
Alberti voleva andarsene senza clamore, ma la sua uscita per quanto felpata ha fatto rumore. Anche perché ieri il commercialista ha smentito quanto aveva affermato da Ghizzoni alle agenzie di stampa: «Non ci è sicuramente piaciuta l' attenzione dei media per fatti inesistenti, come ci dice il Tribunale di Firenze» ma «tutto è stato chiarito.
ASSEMBLEA GENERALI DI BANCA DITALIA FEDERICO GHIZZONI E LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO FOTO LA PRESSE
La pagina è chiusa e noi guardiamo avanti»,aveva detto Ghizzoni. E le dimissioni di Giovanni Alberti per «dissenso personale»? «Non so nulla delle motivazioni di questa decisione - spiegava Ghizzoni - nella decisione di sabato scorso, il collegio dei sindaci ha espresso all' unanimità parere positivo sulla conclusione della nostra analisi sul fatto Palenzona».
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE E PALENZONA jpeg
«Unanimità? Non mi risulta proprio», ha affermato ieri Alberti interpellato da L' Arena. «Io sono legato al segreto professionale e quindi non posso rivelare i contenuti di questa vicenda, però per fatto personale devo replicare alle affermazioni di Ghizzoni perché non c' è stata alcuna approvazione all' unanimità per chiudere la vicenda Palenzona: il mio dissenso è stato chiaro e manifesto. Non si può certo parlare di unanimità».
Una decisione «autonoma», quella di Alberti, assicurano fonti di via Forti, ma è sicuramente la conferma di un forte malumore del presidente di Cariverona nei confronti della gestione Ghizzoni, tant' è vero che da quando è esplosa la vicenda Palenzona sulla quale a livello interno Unicredit ha subito tranquillizzato tutti ribadendo la piena regolarità dei procedimenti, Biasi è andato a Milano nella sede centrale più spesso di prima per svolgere quella funzione di monitoraggio, come azionista forte della banca, che aveva promesso quando nei mesi scorsi l' operazione Palenzona- Montezemolo- Caltagirone aveva portato alla conferma di Ghizzoni escludendo dal cda proprio Verona.
UNICREDIT - PUBBLICITA SUI QUOTIDIANI
Ora Biasi ha ancora più ragioni per criticare questa gestione e sta mettendo in fila tutti i nujmeri e i fatti, sui quali potrebbe trovare la convergenza anche di altri azionisti forti, magari quegli arabi che dall' investimento in Unicredit si aspettavano ben di più.
Il primo nodo dunque riguarda la vicenda Palenzona, che da Biasi non viene affatto ritenuta morta e sepolta, almeno a livello di audit interno. È vero che il Comitato Corporate Governance e il Cda straordinario hanno preso atto con soddisfazione della decisione del tribunale del riesame di Firenze che ha annullato il sequestro di alcuni beni di Palenzona, avvenuto l' 8 ottobre su disposizione della procura antimafia fiorentina che ipotizzava i reati di associazione a delinquere, truffa, appropriazione indebita con l' aggravante del favoreggiamento alla mafia per aver sostenuto l' imprenditore siciliano Andrea Bulgarella, indicato dagli inquirenti vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.
TOTO CUFFARO PREMIA ANDREA BULGARELLA
Ma al centro dell' indagine c' era la ristrutturazione di un debito da 65 milioni con Unicredit, che vede anche due alti dirigenti della banca indagati, Massimiliano Fossati e Alessandro Cataldo. Alla riunione del cda erano stati "invitati i membri del collegio in qualità di ospiti". Una formulazione di rito, che però non compariva nella riunione del 15 ottobre, in cui il cda prendeva atto che l' audit interna aveva stabilito che non c' erano state anomalie, perché non risultava "approvato alcun progetto di ristrutturazione del debito del Gruppo Bulgarella". Per la banca insomma, le procedure sono state ok. Ma evidentemente non tutti i soci la pensano così.
Il secondo nodo è il rendimento di Unicredit, nettamente al di sotto delle aspettative: è la metà di Intesa San Paolo banca ben più piccola.
Ecco due dati: nel terzo trimestre 2015 l' utile di Unicredit è stato di 507 milioni in calo rispetto al secondo trimestre che aveva fatto segnare 522 milioni. Intesa San Paolo ha raggiunto invece i 722 milioni. L' utile dopo nove mesi del 2015 è stato di 1,541 miliardi in calo rispetto allo scorso anno quando era stato di 1,837 miliardi.
Ma soprattutto Intesa San Paolo dopo i primi nove mesi ha fatto segnare un utile di 2,7 miliardi, ben superiore a Unicredit (1,2 miliardi nello stesso periodo 2014 quindi ha più che raddoppiato).
Terzo problema: il titolo sta perdendo quota. È vero che ci sono tre anni per scendere ancora di un punto percentuale, ma alla Fondazione non fa certo piacere vedere il proprio capitale assottigliarsi perché i mercati non credono al piano. Tra le performance deludenti e il titolo debole, per la Fondazione comincia a suonare l' allarme sui dividendi, sulle rendite e il patrimonio.
E il piano presentato da Ghizzoni non piace, e questo è il quarto punto. Non piace perché per salvare una gestione insoddisfacente prevede tagli sul territorio e quindi probabilmente anche a Verona. Una evenienza assolutamente da evitare, nel momento in cui tra l' altro proprio qui a Verona si sta preparando la nuova sede strategica per il Nord Est e non solo. Il timore è che andando avanti così gli esuberi non bastino più e venga chiamato un nuovo aumento di capitale, eventualità per ora smentita da Ghizzoni.
Si annuncia una stagione vivace, anche perché tutto questo accade alla vigilia delle nomine per il rinnovo di Cariverona e i giochi e gli equilibri politici sicuramente si intrecciano. Biasi tiene ben saldo il timone di azionista, la politica è spettatrice interessata e il sindaco Tosi ha tutto l' interesse che la Fondazione mantenga buone rendite da distribuire sul territorio. E le alleanze mai come ora sono fondamentali.
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