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Marco Ansaldo per "La Stampa"
Per chi ama il Brasile, venirci l'anno prossimo per il Mondiale potrebbe rivelarsi un buon motivo per cambiare idea. Uno dei Paesi più affascinanti dove trascorrere le vacanze, diventa un costante colpo al fegato quando ci si deve assoggettare a orari e spostamenti, magari con la necessità di cambiare in poche ore un itinerario.
Se la Confederations Cup ha creato disagi, il Mondiale in cui si prevede un flusso di turisti e di addetti ai lavori almeno 10 volte superiore si annuncia come una via crucis in cui la condizione degli stadi e le proteste nelle strade saranno gli ultimi dei problemi.
La Fifa e la Federazione brasiliana hanno concepito un «format» come se si giocasse in Germania: 12 città , nessuna squadra impegnata per due volte nello stesso posto, gironi indifferenti alle distanze e alla diversità di clima. Scelta demenziale in un Paese grande quanto un continente. Nel gruppo E, ad esempio, in 10 giorni una squadra passerà dall'inverno di Porto Alegre all'afa amazzonica di Manaus.
In più ci sono le distanze e i costi. Tra Porto Alegre e Manaus ci sono 3100 chilometri in linea d'aria (come da Firenze a Capo Nord), 4700 via terra, il volo della Tam impiega 11 ore con tre scali e da Curitiba 9 ore e un quarto. Il tutto a prezzi superiori ai 700 euro per tratta.
Questo è il caso limite ma in generale chi voglia seguire la propria squadra deve attrezzarsi a collegamenti da un minimo di un'ora e mezza a un massimo di 7, più il tempo inquantificabile per raggiungere l'aeroporto, specie se si sta a Rio o a San Paolo. Forse soltanto nel 1994, negli Usa, un Mondiale fu altrettanto dispersivo da mettere le squadre in condizioni molto diverse.
«E questo non è corretto - dice Prandelli -. Bisognerebbe che ciascuno avesse le stesse opportunità , invece non sarà così. Con il clima, i viaggi, l'orario diverso delle partite si creano situazioni squilibrate. Bisognerebbe che quando si organizzano certi eventi si consultasse chi poi va sul campo. Noi allenatori, ad esempio, abbiamo ben chiare certe cose ma a tempi brevi non cambierà niente, il Mondiale si farà come lo hanno deciso. Per questo la Confederations è stata una miniera di informazioni».
Per le squadre lo scoglio principale sono i campi di allenamento malridotti, il clima e gli spostamenti, per i quali però avranno a disposizione i charter della Fifa. Non sarà così per chi le segue. I trasporti sono un aspetto da migliorare. Il dubbio è che un anno basti a potenziare il numero dei voli, sui treni si è persa la speranza che migliorino e le strade sono malridotte anche in città , dove il traffico si intasa in code interminabili. L'altro punto dolente è la ricettività . Chi ha inserito tra le sedi Cuiaba, nel Mato Grosso, probabilmente non ha mai cercato un albergo: i principali siti di prenotazione ne indicano 31, 19 di uno standard accettabile.
A Manaus gli alberghi a 3 o 4 stelle (classificazione brasiliana, da rivedere al ribasso) sono 28, la stessa Belo Horizonte dove ha sede la Fiat ha faticato a soddisfare le richieste per la semifinale del Brasile. Non è un caso che l'Italia, che l'aveva indicata tra le sedi del ritiro mondiale insieme a São Paulo, si stia indirizzando su Rio dove potrebbe sfruttare la struttura del Flamengo: la Nazionale si porta appresso una struttura imponente nei numeri, a cominciare dall'organizzazione di Casa Azzurri, e non può farlo dove non c'è una ricettività adeguata.
Dove andrà la Seleçao, sarà difficile trovare posto ovunque: da venerdì a domenica, con la finale al Maracanà , persino a Rio ci si doveva accontentare di sistemazioni in «pousadas» o bed and breakfast. I prezzi sono alti. Gli aumenti medi di una stanza per il periodo del Mondiale sono del 367%, un ladrocinio autorizzato.
Il governo ha promesso che interverrà sugli albergatori ma l'avevano detto anche gli ucraini, per gli ultimi Europei, e non ne abbiamo visto l'effetto. Il carrozzone si presenta problematico. «Anche nel 2005 in Germania alcune cose non funzionarono nella Confederations dicono alla Fifa -, l'anno dopo fu tutto perfetto». Chissà perché per certe cose ci fidiamo di più dei tedeschi.
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