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DAGOREPORT – QUANTO DURERA' LA STRATEGIA DEL SILENZIO DI GIORGIA MELONI? SI PRESENTERÀ IN AULA PER…
1.COPPIA DELL’ACIDO, IL BIMBO IN COMUNITÀ
El. Andr. “Il Corriere della Sera”
Compie 24 anni oggi, Martina Levato. E si sveglierà in cella, a San Vittore. Separata dal figlio, mandato in una comunità senza di lei. Così hanno deciso pro tempore i giudici del Tribunale per i minorenni, avviando l’istruttoria in vista della procedura di adottabilità.
Nel provvedimento, le parole su Martina Levato e Alexander Boettcher, «coppia dell’acido» e madre e padre del bimbo, sono durissime. Anche se lasciano uno spiraglio agli incontri col figlio che potranno tenersi, con modalità «protette», in presenza di operatori socio sanitari, per vigilare sul loro comportamento. Nulla è stabilito, però, sulla cadenza e l’intensità di quei permessi di visita.
Difficile che siano giornalieri. Dovranno essere concordati col carcere e col Comune, tutore provvisorio del bambino.
Entrambi i genitori, scrivono i giudici, non sono e non saranno in grado di occuparsi del figlio, e non solo perché entrambi sono in carcere, già condannati a 14 anni per aver sfregiato in modo drammatico e irreparabile lo studente Pietro Barbini e sotto processo per altre aggressioni.
«C’è una situazione di grave pregiudizio per l’accudimento e per lo sviluppo psicofisico del minore», rileva il Tribunale per i minori. La vicenda processuale «riguarda condotte di particolare gravità commesse con modalità crudeli, premeditate nel loro dettaglio», azioni il cui movente erano «l’odio e il proposito di vendetta, nonostante l’assenza di provocazione».
Mentre scagliava l’acido contro Pietro, Martina era incinta. Ma il bimbo che aveva in pancia era «subordinato» rispetto al programma criminoso, a sua volta «sprezzante» persino rispetto al figlio.
Nessun pensiero per le ricadute che quei gesti avrebbero potuto avere sulla vita del bambino da accudire «da genitori liberi». Anzi, nel commettere il reato è stato usato liquido corrosivo «potenzialmente dannoso per la salute del feto».
Se Alexander «ha una componente sadica», la «mancanza di empatia» di Martina si è manifestata anche in gravidanza «come incapacità di immedesimarsi, assumere un atteggiamento protettivo». Non vi sono garanzie che Martina sia in grado di «accogliere, ascoltare e comprendere i bisogni del figlio» con la sensibilità richiesta ad una mamma. In Martina emerge poi «l’incapacità di gestire le proprie emozioni al di fuori di un iper-controllo» pauroso, aggiungono, che la porta talvolta a esplosioni incontenibili di irritazione e rabbia. «E questo modo di funzionare pare allarmante anche sotto il profilo della genitorialità», nella misura in cui essere genitori implica stress non trascurabile.
Adesso, l’istruttoria farà il suo corso, per definire il destino definitivo del bimbo. Primo passo: entro il 30 settembre dovrà essere conclusa l’«indagine sociale» sulla famiglia. Ma l’opzione dell’affido ai nonni, che pure «dovrà essere vagliata», appare almeno in parte compromessa in quanto «sono emersi elementi di conflittualità e di grave tensione per entrambi i genitori con le rispettive famiglie d’origine». Conflittualità che verranno esaminate, «preesistenti anche alle vicende penali».
2. IL RACCONTO «DEVI RITORNARE IN CELLA» E SOLO IN QUEL MOMENTO MARTINA SCOPPIA IN LACRIME
Elisabetta Andreis per “Il Corriere della Sera”
L’auto azzurra, una Peugeot con i vetri posteriori oscurati, è entrata dal retro della clinica Mangiagalli a metà mattina. L’autista ha aspettato in un angolo defilato del cortile. Alle 12.32, preavvertito da una chiamata, è sceso, ha aperto la portiera e molto in fretta ha caricato un neonato tranquillo, stretto tra le braccia di una giovane donna, con un’altra funzionaria al seguito. Poi è uscita da via Francesco Sforza, spiazzando tutti quelli che aspettavano di vederla dall’altro lato.
Fuori dai riflettori, «lontano dalla vicenda mediatica» come hanno scritto i giudici del Tribunale per i minorenni, è andato il figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher, condannati per aver sfigurato con l’acido l’ex compagno di liceo di lei e indagati per altre «crudeli, impietose, premeditate» aggressioni.
Il piccolo Achille, 3,8 chili e sei giorni di vita, è stato portato fuori Milano, in una comunità per soli minori, di tipo familiare. Starà da solo, anche se potrà incontrare, «con modalità protette ed osservate», entrambi i genitori e i parenti. La sorte decisa per lui si è ripercossa nel giro di poco su quella della madre. Alle 15.15, sempre dal retro della clinica, a bordo di un Suv nero (mentre la camionetta della polizia penitenziaria era parcheggiata all’ingresso, per depistare i giornalisti), è uscita anche lei, diretta a San Vittore che aveva lasciato il 14 agosto, solo per partorire.
Mattina concitata, quella di ieri, per il personale della Mangiagalli. Cominciata presto. Nel momento in cui, alle 8.15, il direttore sanitario Basilio Tiso ha firmato le lettere di dimissioni per madre e figlio mandandole per conoscenza anche al Tribunale per i minorenni. Da quell’invio, ogni momento era buono per l’eventuale trasferimento «altrove». Prima delle 9 la telefonata del responsabile per il Comune, tutore provvisorio del bambino, che annunciava l’immediato arrivo di quattro assistenti sociali.
Due giovani operatrici, accompagnate dal personale socio-sanitario della clinica, sono andate dal bimbo, che dormiva nel reparto di patologia neonatale, e lo hanno preparato per l’uscita. Mentre le altre due, col personale ospedaliero, attendevano «a minuti» il provvedimento del Tribunale per i minorenni.
Ma dopo un’ora, alle 10, orario in cui Martina aveva il permesso di incontrare ogni giorno il figlio, il fax che racchiudeva i destini di Achille ancora non era arrivato. Almeno venti persone lo stavano aspettando.
Il direttore sanitario ha dato allora disposizione di portare la culla nella stanza piantonata giorno e notte dalle guardie carcerarie, come se nulla fosse. L’ospedale, intanto, si riempiva di poliziotti in borghese: almeno quattro, aggiuntivi rispetto al solito davanti alla stanza della Levato. Poco più in là, il consueto via vai di puerpere, carrozzine e neonati.
Il fax con il provvedimento dei giudici è arrivato alle 12.15, e a quel punto, come in un videogame in cui tutto è già stato previsto, le varie pedine si sono mosse, secondo i percorsi concordati.
ALEXANDER BOETTCHER E MARTINA LEVATO
Due assistenti sociali del Comune sono andati a prendere il bimbo e lo hanno portato via con l’auto azzurra. Mentre le altre due, col personale ospedaliero, iniziavano a spiegare a Martina cosa stava succedendo. Che il figlio era stato portato in comunità e che lei potrà vederlo, forse non ogni giorno. Lei ascoltava, immobile. Si è scossa solo quando le hanno chiarito che sarebbe tornata in carcere. Lì ha avuto la crisi di pianto violenta, incontenibile.
Con lei è entrata in stanza la madre mentre una parte dei medici, tra cui il primario Alessandra Kustermann, non voleva farla uscire e l’avvocato, Stefano De Cesare, provava a sostenere la tesi di «condizioni postoperatorie non compatibili col carcere». Ma la lettera di dimissioni, pur con ogni cautela, parlava chiaro, ed è stata ribadita dal Tribunale. «Dimissibile». Il pm Marcello Musso ha mandato il Suv nero della polizia penitenziaria, e la detenuta è tornata in cella.
alexander boettcher e martina levato
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