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Francesca Paci per "la Stampa"
La storia in sé è una storia di cronaca nera. Un paio di giorni fa tre musicisti iraniani sono stati assassinati nel quartiere artistico di East Williamsburg a Brooklyn dal 29enne Ali Akbar Mahammadi Rafie, che poi si è sparato a sua volta con il fucile. Secondo la polizia Rafie era fuori di sè per essere stato cacciato dal proprio gruppo, i Free Ways.
La storia in sé non cambia, ma le vittime erano membri degli Yellow Dogs, una delle più vivaci rock band di Teheran che nel 2010 aveva imballato gli strumenti per trasferirsi negli Stati Uniti. Il regime degli ayatollah non aveva infatti gradito il film-documentario di Bahman Ghobadi "I Gatti persiani", un viaggio nella scena musicale underground iraniana di cui i "post punk" Yellow Dogs erano protagonisti (insieme i Free Ways).
Ghobadi se n'era andato in esilio subito dopo la prima e loro a ruota, nel giro di pochi mesi. In breve erano entrati nelle grazie della prestigiosa rivista Spin conquistando una buona postazione nella classifica dei gruppi rivelazione e una serie di concerti in locali noti come il Brooklyn Bowl e il Knitting Factory.
La storia di cronaca nera cancella così una pagina di storia musicale contemporanea che testimoniava uno spaccato della vitalità ribelle (al limite dell'autodistruzione) dei giovani di Teheran.
Con la morte dei fratelli cofondatori degli Yellow Dogs Soroush e Arash Farazmand (rispettivamente chitarrista e batterista) e del cantante neo-ingaggiato Ali Eskandarian, il gruppo (composto da 5 membri) non esiste più e anche l'altro, i Free Ways, rischia di sciogliersi rapidamente.
"I genitori delle vittime sono sotto shock, non sembravano ragazzi violenti e poi la gente in Iran non possiede armi" racconta alla BBC il manager del gruppo Ali Salehezadeh. Parlando di Teheran nelle interviste newyorkesi i ragazzi Yellow Dogs descrivevano una scena rock underground "ristretta ma folle", una comunità tenuta d'occhio dal governo ma meno di altre e dunque beneficiaria "della maggiore libertà d'espressione del paese".
Nel libro "Rock the Casbah! I giovani musulmani e la cultura pop occidentale" Levine Mark racconta la vita musicale in Iran, la passione per il rock sbocciata negli anni '70 sotto lo scià e la diffusione dell'heavy metal al termine della devastante guerra contro l'Iraq, i primi anni 2000 con almeno 50 gruppi musicali solo nella capitale, la controllata tolleranza di Khatami e l'abitudine di organizzare concerti semi clandestini nelle case private, l'avvento di Ahmadinejad nel 2007 e il giro di vite contro qualsiasi forma di creatività , l'era degli smartphone e la via di fuga dalla censura. Una lotta per la sopravvivenza da rinnovare ogni giorno che anche gli Yellow Dogs conoscevano. Poi, a New York, avevano cominciato a vivere senza lottare.
LA BAND IRANIANA DEGLI YELLOW DOGS LA BAND IRANIANA DEGLI YELLOW DOGS LA BAND IRANIANA DEGLI YELLOW DOGS
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