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Alessandro Ursic per “la Stampa”
Guida spericolata probabilmente da ubriaco, un poliziotto travolto e lasciato morire sull' asfalto di Bangkok, e pure falsa testimonianza. Una persona normale finirebbe dritta in carcere. Ma Vorayuth «Boss» Yoovidhya, il 27enne al volante in quell' alba del 3 settembre del 2012, è il nipote del co-fondatore della Red Bull, il rampollo di una famiglia da 22 miliardi di dollari di patrimonio.
E cinque anni dopo continua indisturbato la sua vita da jet-set, con un atteggiamento talmente spudorato che sta facendo scandalo anche in una Thailandia abituata all' impunità dell' élite. La Ferrari di Boss, com' è soprannominato, andava a 170 all' ora sulla centralissima via Sukhumvit.
L' impatto con la moto del sergente Wichean Glanprasert fu violentissimo: il poliziotto fu trascinato per cento metri. Ma Boss («Capo») non scese dall' auto ammaccata, anzi: manovrò per liberarsi del corpo, e tornò nella villa di famiglia. La polizia ci arrivò un' ora dopo, seguendo le tracce di liquido dei freni. Ma subito iniziò una serie di scuse: all' inizio il ragazzo disse che il colpevole era un autista di casa. Scoperto il suo tasso alcolemico fuori norma, Boss raccontò di aver bevuto vodka dopo l' incidente, perché turbato.
Subito scarcerato dietro cauzione, sarebbe dovuto essere interrogato pochi giorni dopo. Ma non si è mai presentato, in quello e in ripetuti inviti successivi, dandosi malato o dicendosi all' estero per lavoro. Una faccia tosta graziata: non è mai stato emesso un mandato di arresto. Il caso era quasi finito nel dimenticatoio in Thailandia.
Ma l' indignazione è riesplosa grazie a una recente inchiesta dell' Associated Press, che ha documentato la vita da sogno del Boss oggi 32enne: giri del mondo su jet privati, Gran Premi di F1 per tifare le due scuderie di casa, una Porsche a Londra targata «B055», crociere a Montecarlo, snowboard in Giappone, piscine ad Abu Dhabi, cene di lusso in Francia. E incredibilmente, anche frequenti ritorni in Thailandia senza conseguenze giudiziarie.
Troppo, anche per un Paese dalla corruzione imperante e abituato ai doppi standard per la massa e i ricchi, a cui spesso basta mostrarsi contriti e magari farsi monaco per un mese per guadagnarsi il perdono dall' opinione pubblica. I commenti online contro il nipote di Chaleo Yoovidhya, che insieme all' austriaco Dietrich Mateschitz lanciò la Red Bull negli anni Ottanta, sono feroci.
«Nella piramide del privilegio, il Boss sta in cima. Nella catena alimentare dell' ingiustizia, il Boss ci ricorda ancora e ancora chi è il capo», ha scritto il «Bangkok Post». Ma dal diretto interessato o dalla sua famiglia - il padre è il quarto uomo più ricco in Thailandia - nessun commento. Sorpreso dalle telecamere dell' Ap a Londra, Boss è rimasto immobile con un malcelato sorriso. Finora il marchio Red Bull è uscito indenne dalla vicenda. Ma ora il clamore del caso è uscito dai confini thailandesi.
Difficile però che giustizia sia fatta. Le autorità giudiziarie sono in piena fase scaricabarile. È chiaro che per Boss il caso è chiuso: papà Yoovidhya ha pagato circa 90 mila euro ai fratelli del poliziotto, figlio di agricoltori. Una cifra che probabilmente il rampollo spende in una serata da Vip, ma sufficiente in una Thailandia dove tali risarcimenti sono calibrati sulla condizione sociale della vittima. Quei soldi hanno sancito un accordo: la famiglia Glanprasert non farà causa.
Intanto, l' accusa di eccesso di velocità è già caduta in prescrizione. Quella di omissione di soccorso lo farà in settembre, e la più grave - omicidio colposo per guida spericolata - scadrà nel 2027.Per quanto suoni come una presa in giro, gli avvocati di Boss hanno presentato petizioni multiple per trattamento ingiusto del loro cliente.
Nel frattempo, la farsa continua: Vorayuth si sarebbe dovuto presentare alla polizia di Bangkok una settimana fa, ma è rimasto a Londra. «Era assorbito», hanno detto i suoi legali. Risultato: udienza spostata al 27 aprile. Sempre se il Boss sarà in salute e non oberato di lavoro.
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