nadia pulvirenti

LA TRAGEDIA DI NADIA, LA TERAPISTA MASSACRATA DAL PAZIENTE PSICHIATRICO - L’OPERATRICE ACCOLTELLATA A 25 ANNI A ISEO - L’UOMO PRIMA DI ESSERE PORTATO IN CARCERE: “LO SO CHE LE DONNE NON SI DEVONO PICCHIARE, HO SBAGLIATO. APPENA ABBIAMO FINITO VADO A CHIEDERE SCUSA A NADIA” - IL CAPO DELLA STRUTTURA: "LA SCELSI PER L’ENTUSIASMO"

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Silvia Ghirardi e Elvira Serra per il Corriere della Sera

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Quando decise di assumerla, un anno e mezzo fa, non pesò il curriculum: Nadia si era laureata da pochi mesi e aveva fatto una breve esperienza soltanto a Trento. «La scelsi per l' entusiasmo. Perché condivideva il progetto di accompagnare le persone con disagio psichico all' autonomia. Per il modo in cui si era presentata, così, senza appuntamento, portando a mano le sue credenziali. 

 

Riconobbi subito in lei quello che fa la differenza nei lavori come il nostro: passione e dedizione», racconta il responsabile della cooperativa Diogene da cui dipendono gli operatori della Cascina Clarabella, la struttura che ospita pazienti con fragilità psichiche e li impiega nelle attività di gestione dell' agriturismo, del ristorante, dei vigneti e dei campi dove si allevano anche animali.

 

Nadia Pulvirenti aveva venticinque anni e ieri mattina, come ogni mattina, era andata in Cascina a svolgere il suo lavoro di tecnico della riabilitazione psichiatrica, un nome freddo per una professione molto umana: aiutava i pazienti a tenere pulita la casa, a fare il bucato, a fare la spesa, a gestire i soldi. 

 

È il cosiddetto percorso di autonomia e la struttura dove tutto questo succede viene chiamata protetta perché qui i pazienti possono imparare, o reimparare la quotidianità, con il supporto adeguato. Nadia portava in auto gli ospiti al supermercato per comprare provviste o detersivi, oppure si metteva seduta con loro intorno a un tavolo e segnava su un foglio entrate e uscite con la penna, spuntando le voci e facendo quadrare i conti.

 

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Abderrhaim El Moukhtari lo conosceva bene. Non aveva motivo di non fidarsi di lui. Era sempre stato tranquillo. Cinquantatré anni, una compagna, figlie, nipoti. E un disagio mentale che lo aveva portato qualche anno fa nella Cascina sul lago d' Iseo, in Franciacorta, per un programma di «residenzialità leggera»: bilocale condiviso con un altro ospite, lavori manuali nei campi o al chiuso. Lui e Nadia si sono visti verso le 11. 

 

C' è stato un malinteso, non si sono capiti. Abderrhaim prende un coltello e le sferra più di dieci colpi. Poi corre via, disperato. Ai passanti che lo incrociano lungo la strada stretta e sconnessa con cui si arriva al complesso di Clarabella grida di dover raggiungere i carabinieri.

 

E invece lo trovano così i vigili. Poi sono i militari della Compagnia di Chiari a interrogarlo fino a notte, prima di portarlo nel carcere di Brescia. «Lo so che le donne non si devono picchiare, ho sbagliato. Appena abbiamo finito vado a chiedere scusa a Nadia», ha farfugliato Abderrhaim agli ufficiali, senza rendersi conto di cosa aveva fatto.

 

Nadia è morta nel bilocale, sarà l' autopsia a stabilire il momento esatto. Ma quando due infermieri sono corsi in suo aiuto, allarmati dalle urla, non sono riusciti a rianimarla. Con loro c' era lo psichiatra Andrea Materzanini, che è direttore del Dipartimento di salute mentale dell' Azienda socio sanitaria territoriale Franciacorta. «È un dolore troppo grande, che ci colpisce tutti», dice alla fine di una giornata lunghissima. «La cosa peggiore è che Nadia non tornerà, e questa perdita tocca anzitutto il suo compagno e i genitori. 

 

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Ma questo evento drammatico spiazza noi, è qualcosa che non era mai successa prima ed è capitato proprio adesso a una giovane donna di venticinque anni che svolgeva il lavoro che amava e alla quale tutti noi volevamo bene. È un lutto terribile che però ora non deve allontanarci dal valore del percorso di inclusione. Quello nel quale credeva anche lei».