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    IL MARITO DI URSULA VON DER LEYEN, HEIKO VON DER LEYEN, SI È DIMESSO DAL CENTRO NAZIONALE DI RICERCA SUI VACCINI ANTI-COVID A RNA DI PADOVA. DOPO LE POLEMICHE SUL CONFLITTO DI INTERESSE PER VIA DEI LAUTI FINANZIAMENTI RICEVUTI DALL’EUROPA. COSÌ, IL FIRST GENTLEMEN DELL’UE, DIRETTORE MEDICO DELLA CASA FARMACEUTICA ORGENESIS, CHE PARTECIPA AL PROGETTO, SI È CHIAMATO FUORI DAL COMITATO DI SORVEGLIANZA. MA NELLA SOSTANZA CAMBIA POCO: L’AZIENDA ORGENESIS RIMANE NEL PROGETTO (E LUI NELL’AZIENDA)


     
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    Francesca De Benedetti per www.editorialedomani.it

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    «Ho appreso con una lettera che Heiko von der Leyen ha rinunciato alla nomina», dice a Domani Rosario Rizzuto, ex rettore dell’università di Padova e oggi presidente di uno dei progetti più promettenti tra quelli finanziati coi fondi del Pnrr, il Centro nazionale di ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna”.

     

    Si tratta di un polo di ricerca e sviluppo che farà da traino a farmaci di nuova generazione. Tra i privati coinvolti nel progetto ci sono anche colossi globali del farmaco come Pfizer, BioNTech, AstraZeneca, Sanofi, e c’è pure –  tuttora – Orgenesis, per la quale lavora il marito della presidente della Commissione europea.

     

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    Heiko von der Leyen, che con l’etichetta di “direttore medico” figura nel team di gestione di Orgenesis, aveva attirato le attenzioni della stampa italiana ed estera perché il suo nome figurava nel comitato di sorveglianza del progetto finanziato con il Pnrr.

     

    Il first gentleman dell’Ue ha quindi espunto il suo nome da quella lista. «Ho saputo che ha rinunciato all’incarico tramite una lettera, nella quale non fornisce una motivazione», racconta Rizzuto.

     

    BRUXELLES E ROMA

    Quel cognome, von der Leyen, finito dentro un progetto finanziato coi fondi europei, ha suscitato scalpore.

     

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    La presidente della Commissione europea è già nell’occhio del ciclone per aver negoziato con Pfizer a colpi di messaggini e telefonate, il che ha scatenato un’indagine della procura europea.

     

    Le dimissioni del marito dal comitato di sorveglianza possono essere lette come una scelta di opportunità, ma in termini di sostanza contano poco: non implicano che l’azienda Orgenesis sia fuori dal progetto, né che von der Leyen (Heiko) sia fuori dall’azienda.

     

    Anzi, visto che ora il comitato di sorveglianza ha 16 membri invece dei 17 previsti, non è da escludere che il nuovo nome non arrivi da Orgenesis stessa.

     

    L’azienda «biotecnologica globale che opera per sbloccare il potenziale delle terapie cellulari e geniche», come da sua definizione, ha il quartier generale nel Maryland, negli Stati Uniti, ma ha già una presenza italiana.

     

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    Risale a fine marzo 2021 l’annuncio di un accordo di collaborazione con l’ospedale Bambino Gesù di Roma per lo sviluppo di un centro per la terapia cellulare e genica.

     

    Cosa ci fa una «azienda globale» dentro un progetto finanziato col Pnrr? «Il requisito è che le aziende abbiano una sede operativa italiana», risponde Rizzuto; e a quanto pare Orgenesis, come pure Pfizer, ha questo requisito.

     

    Ed è proprio il gancio con il Bambino Gesù che porta l’azienda per la quale lavora il marito di von der Leyen dentro il contenitore di Padova.

     

    Per la precisione, Orgenesis è coinvolta nello “spoke 10” delle terapie geniche – lo hub scientifico si sviluppa in varie diramazioni – che ha tra i referenti scientifici competenti Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica del Bambino Gesù, nonché presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico.

     

    UN POLO D’ATTRAZIONE

    Resta da spiegare in cosa consiste il progetto e perché ha attirato i colossi farmaceutici oltre che Orgenesis.

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    Il punto dirimente non sono tanto i finanziamenti pubblici diretti: spiega il presidente che «alle compagnie private vanno solo quattro dei 320 milioni» di fondi pubblici, e a Orgenesis nello specifico «va un millesimo, visto che riceve 380mila euro, e deve peraltro versarne 250mila come contributo per essere parte della fondazione».

     

    Il vero investimento è stare dentro un processo di ricerca e sviluppo finanziato con fondi pubblici, ma che è proiettato verso i farmaci del futuro.

     

    Gli “spoke”, le diramazioni del centro, lavorano su malattie genetiche, neurodegenerative (alzheimer, parkinson), metaboliche e cardiovascolari (come il diabete), infiammatorie e infettive (il Covid ha mostrato quanto questo ramo possa essere cruciale).

     

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    L’obiettivo del centro per lo sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia rna è «prendere una conoscenza scientifica consolidata e farla diventare un nuovo progetto di farmaco», come dice il presidente stesso.

     

    I farmaci del futuro saranno sempre più mirati, di conseguenza si rivolgeranno a gruppi di pazienti sempre più piccoli, e perciò il processo diventa più costoso.

     

    Lo hub che ha il suo perno a Padova inizia i lavori con fondi pubblici e con le eccellenze della ricerca italiana: ci sono 25 enti pubblici del sistema universitario, centinaia di ricercatori; partecipano sette istituti italiani di tecnologia; partecipano anche Humanitas, San Raffaele, Bambino Gesù, fondazione Telethon.

     

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    Ma ci sono anche una grande banca, Intesa San Paolo, e sedici aziende. Perché AstraZeneca, BioNTech, Pfizer, Orgenesis oltre che aziende della farmaceutica italiana sono dentro?

     

    Lo schema, già visto coi vaccini anti covid in sede europea, è stato il finanziamento pubblico – anche dell’Ue – alla ricerca e allo sviluppo, ma poi un acquisto dei farmaci gestito “senza sconti” dal pubblico. Chi blinderà le conquiste del centro, e come?

     

    QUAL È IL PIANO?

    Il primo novembre lo hub inizia le sue attività eppure questo fronte resta scoperto. Anche se formalmente gli enti pubblici sono la maggioranza sui 49 enti coinvolti, i privati fanno parte sia della fondazione, che del comitato di gestione e di quello di sorveglianza (dal quale si è ora dimesso von der Leyen).

     

    Attualmente allo hub arrivano 320 milioni di contributo dal ministero dell’università e ricerca (la missione del Pnrr è quella relativa a istruzione e ricerca, appunto) e meno di nove milioni di cofinanziamento privato.

     

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    Una volta che si sarà arrivati a due passi dal prototipo di farmaco, fare il passo finale «sarà compito delle spin off che nasceranno o delle licenze che saranno date a chi acquisisce la nuova proprietà intellettuale», spiega Rizzuto.

     

    E chi la acquisirà? «Sicuramente chi la ha generata, ma quello che dobbiamo ancora disegnare è come il centro che si è costituito ne avrà uno spicchio in modo da poter reinvestire». Insomma, di certo ci sono i fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo; ma sui farmaci del futuro, c’è ancora molto da definire. Perciò Big Pharma guarda a Padova con molta attenzione.

     

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