
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Video di Veronica Del Soldà per Dagospia
Marco Giusti per Dagospia
C'erano tutti all'Auditorium. Tranne i comunisti. Ah sì, mancavano anche D'Alema e Renzi. Ora. I funerali di Enrico Berlinguer a San Giovanni furono un meraviglioso bagno di folla popolare. La proiezione di questo documentario, anzi, di questo "film di Walter Veltroni", all'Auditorium del Piddi romano di Bettini (e Veltroni), vicino al Maxxi della Melandri (e Veltroni), presentato dall'amministratore delegato di Sky Italia Andrea Zappia con tanto di spot introduttivo Sky, di fronte a un pubblico che andava dal Presidente Napolitano al duo Confalonieri-Gubitosi, ai premi Oscar Tornatore-Sorrentino, a Fini e Tulliani, a Letta zio e Letta nipote, ai ministri renziani e lettiani, a Paolo Mieli e Piggi Battista era una delle celebrazione più chiuse e "parrucche" che si siano mai viste a Roma.
Sky e il piddi romano avrebbero dovuto avere il coraggio di mostrarlo al vecchio popolo comunista a San Giovanni, se ancora esiste questo vecchio popolo comunista. Non a farsi incensare preventivamente da Cazzullo-Serra-Scanzi.
Personalmente, non mi riconosco nel culto di Berlinguer. Negli anni '70 inseguivamo altro, diciamo così, un mischione di Debord-Godard-Ray-Deleuze, e "disperdevamo" il voto a sinistra, non seguendo volutamente gli ordini di Berlinguer, "votate solo questo simbolo". E il cinema italiano di partito ci faceva orrore (come oggi). Berlinguer e Moro non erano come Renzi e Berlusconi, questo no, ma facevano parte della stessa politica riformista e borghese che non potevamo non odiare.
Il culto di Berlinguer era buono solo come feticcio comico del capolavoro di Giuseppe Bertolucci-Roberto Benigni "Berlinguer ti voglio bene", che era però già un film critico e non amato dall'ortodossia comunista perché trattava il leader come un perbenista che non ci avrebbe mai permesso la rivoluzione. "Perché Berlinguer non ci dà il via?", chiedevano Pachi e Monni a Cioni Mario. "Eh... lui ci ha da fare... ha famiglia", rispondeva Cioni.
Berlinguer era buono per la grandiosa poesia ad Almirante declamata da Benigni che oggi nessuno oserebbe intonare: " Ti venisse un colpo/ti venisse un accidente,/gli uomini son tutti uguali,/ma te tu sei differente./ Ti scoppiasse la vescica/ti scoppiassero i coglioni/ti scoppiassero in un mese/trentatré rivoluzioni./Ti venisse la febbre,/ti venisse un ascesso/ti scoppiassero in culo/tutte le bombe che tu ha' messo./Ti chiavessero la moglie/tutti i morti delle guerre,/e ti nascesse un figliolo/che assomiglia a Berlinguerre."
Già , il grande quesito di Cioni: Berlinguere o Berlinguerre? Ovviamente poco o niente c'è in questo documentario di Veltroni di quello che ha vissuto negli stessi anni un'altra gioventù, forse più spregiudicata e non so se più fortunata di quella della Fgci del tempo, che vediamo muoversi nelle immagini in super8 riprese dallo stesso neoregista in formazione con alla testa Nando Adornato e Giuliano Ferrara a pugno alzato.
Ora. Ognuno ha fatto il percorso che si è scelto. Ma il punto è che Walter Veltroni non è Raymond Depardon, non è Erroll Morris, non è Claude Lanzmann e neanche Michael Moore. Però, se alla sua età dirige un film, anzi "un film di", magari qualche saggio consiglio avrebbe potuto chiederlo agli amici registi e produttori, qualche dvd in più se lo sarebbe potuto vedere.
Le sue fonti di ispirazione cinematografica non sembrano andare "Sfide" di Simona Ercolani e "La storia siamo noi" di Minoli. Nel suo film ci sono, è vero, una serie di belle, commoventi interviste, soprattutto nelle parte finale, e penso a come il vecchio operaio padovano Silvio Finesso racconta le ultime ore sul palco di un Berlinguer che sta morendo e cerca, comunque, di chiudere il suo comizio, ma anche il capo scorta romano Alberto Menichelli è grandioso, per non parlare dei vecchi amici del partito, da Aldo Tortorella allo stesso Napolitano, che non riesce a non commuoversi pensando alla fine di Berlinguer e del PCI.
Magari vedere Pietro Ingrao in questo stato ce lo poteva risparmiare, mentre è di grande compostezza e intensità morale anche l'intervista a Bianca Berlinguer. Ci sono anche dei bellissimi repertori Rai delle sue Tribune Politiche, dove risponde ai giornalisti di destra molto duramente. E sono favolosi, anzi andrebbero recuperati tutti, gli interventi all'Est di Berlinguer.
Ma non si può iniziare un documentario così importante, storicamente, con delle interviste che sembrano un repertorio da pomeriggio di Canale 5 su chi era Berlinguer. E proseguire con delle riprese in bianco e nero su Piazza San Giovanni con i giornali che riportano i funerali di Berlinguer e la musica romantica di Danilo Rea. O ascoltare Jovanotti come fosse un guru della sinistra giovanile.
O scegliere quel terribile repertorio di Giorgio Gaber su "qualcuno era comunista" che dà noia perfino a me. Allora preferisco i cinegiornali folli di Ceasescu. E la battuta di un Marcello Mastroianni malatissimo sulla memoria? E tutto, ma proprio tutto, è visto attraverso l'occhio del giovane di partito che non è riuscito a proseguire la strada di Berlinguer e guarda solo all'interno del suo partito come per giustificare la disfatta successiva.
E tutto questo è costruito con una cultura, anche visiva, da fgci veltroniana che oggi può produrre solo i film della Nicchiarelli. Siamo precipitati, insomma, in una sorta di territorio senza gioia alla Fabio Fazio che non corrisponde minimamente alla grande stagione, nel bene e nel male, che abbiamo tutti vissuti negli anni di Berlinguer o Berlinguerre.
Ma dov'è finito il Benigni di allora? Non si parla mai del â77? Senza però spiegarci, come avrebbe fatto un vero documentarista, ma anche un vero comunista, chi era davvero Berlinguer, che Italia fosse quella degli anni '70 che lo ha visto arrivare fin dove è arrivato, in cosa abbiamo creduto e sperato. Magari Veltroni non deve spiegarci il disastro politico e culturale di questi ultimi vent'anni, non era questo il tema del film (anche se...), ma ha sicuramente l'obbligo morale di raccontarci non solo cosa pensava lui "quando c'era Berlinguer", ma anche cosa pensavamo noi.
2. EFFETTO BERLINGUER
Francesco Persili per âDagospia'
Ciak e martello. Effetto Berlinguer. Uniti nella diversità ex comunisti e post dc, vecchi compagni e neo-rottamatori, la Roma potentona in gran soirée con la sinistra Pasolini&cinematografo e il premio Oscar Sorrentino: dal capo dello Stato in giù sono tutti all'Auditorium per il film di Veltroni su Berlinguer, nume tutelare e âbene-rifugio' della gauche italica.
Il rosso antico c'è. Manca solo il red carpet. Per il resto, sembra la festa del cinema di Roma. Star, flash(back), sorrisi a strascico e mondanità . Un contrappasso niente male per il capo della sinistra italiana che legò il suo nome all'austerità . Ma nessuno tocchi Berlinguer.
Livia Turco se lo ricorda ai cancelli di Mirafiori a parlare con gli operai e riavvolge il filo della memoria: «Mi sono iscritta al Pci nel '73 dopo che Berlinguer aveva formulato la proposta del compromesso storico». Battaglie per le donne, idee, valori, emozioni. Anche errori, però. «No, nessun errore, Berlinguer è Berlinguer». E, invece, anche lui sbagliò - la interrompe David Parenzo - sbagliò a non essere abbastanza anti-craxiano. «Ma la sua grandezza resta quella di aver capito i vizi degli italiani, che poi sono gli stessi di oggi».
Peccato che i pischelli oggi non sappiano nemmeno chi sia il leader del Pci che spinse Veltroni e un'altra generazione di ragazzi a fare politica. «Berlinguer? Era francese», nella scena iniziale del film la gioventù del secolo nuovo archivia âpensieri lunghi', âalternativa' ed âeurocomunismo', tanto adesso c'è Miley Cyrus. Per l'ex ministro e sindaco di Napoli Antonio Bassolino, il leader del Pci resta «una grande risorsa della democrazia italiana».
Una coperta di Linus per sopravvissuti, un feticcio per nostalgici? «Feticcio è un termine assurdo, Berlinguer è un protagonista della vita democratica, la sua lezione sul ruolo dei partiti e delle istituzioni è più viva che mai». Pippo Baudo invita a non cadere nell'errore di riconnettere la storia con l'attualità : «Non si può spostare il personaggio di 30 anni e portarlo in un contesto completamente diverso ma a Berlinguer va riconosciuto il merito di aver avviato il dialogo tra comunisti e cattolici con il compromesso storico. Poi venne l'assassinio di Moro e credo che lì Berlinguer sia morto, di dolore...»
Ciascuno ha un ricordo, una malinconia, una istantanea da condividere. II sindaco Marino conserva la foto dell'ex segretario del Pci «con la giacca a vento da mare e i capelli scarmigliati». Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, di corsa: «Berlinguer ha segnato un'epoca». «Abbiamo bisogno di recuperare la sua idealità », scandisce l'attrice Simona Marchini, che spera in Renzi e sul futuro politico del nipote Alfio dice: «Meglio come sindaco che come premier ma per ora mi va bene Marino...».
Il governo schiera una dozzina di ministri ma i rottamatori giocano in difesa anche per questioni anagrafiche. Maria Elena Boschi aveva tre anni quando il segretario del Pci morì. Dario Franceschini, invece, è emozionato al termine della proiezione: «Un film che parla al cuore». Parla al cuore di chi c'era e anche di chi stava dall'altra parte della barricata. L'ex presidente della Camera Gianfranco Fini torna con la mente al primo incontro con Berlinguer nel 1983. Lui, giovane deputato del Msi, lo saluta con deferenza: «Buongiorno, segretario». E Berlinguer, dopo un attimo di silenzio: «Ciao, collega».
Dialogo e rispetto dell'avversario, c'era una volta a Botteghe Oscure. Almirante in fila per rendere omaggio alla salma del segretario del Pci. Avvistato dai militanti, venne ricevuto da Pajetta: âPrego, accomodati'. E il partigiano âNullo' quando venne a mancare il segretario del Msi ricambiò il gesto e chiamò Fini: «Ricordo - prosegue l'ex presidente della Camera - che in quella circostanza Pajetta mi chiese: «Mi vieni a prendere o devo mettermi in fila?»
Effetto Berlinguer. Amarcord e senso di assenza smaltato di nostalgia, reducismo devoto e rimpianto per il romanzo corale di un grande partito-comunità . Facce, baffi e mani di un'altra Italia, quella che aveva le ossa piccole (copyright Lorenzo âJovanotti') e vestiti sempre troppo grandi. Bandiere rosse e pugni chiusi, tute blu, piazza San Giovanni, il più grande funerale della stor..e poi gli occhi diventano lucidi, la voce si spezza. Anche Napolitano ammette di essersi commosso.
L'uomo Berlinguer, il suo rapporto con la politica. Una missione, non solo un mestiere. Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera, ha rivissuto col film di Veltroni il clima delle sezioni, gli incontri con i militanti, le campagne elettorali. Passione e partecipazione. I grandi totem retorici della sinistra. E, poi, le immagini sul palco di Padova durante l'ultimo comizio, che Berlinguer vuole portare a termine, a tutti i costi.
«Berlinguer è morto sul lavoro», spiega Franchi che poi si sofferma sulla «battaglia politica sbagliata» contro Craxi e sulla «guerra civile a sinistra che si è conclusa con la comune rovina delle parti in lotta». Con la morte di Berlinguer non finisce solo il Pci. «Finisce un'antropologia, un codice, una lingua», riflette Luca Telese che si meraviglia di come in un'epoca post-ideologica sia bastata una serata per (ri)diventare «tutti berlingueriani».
«Un film bellissimo», Veltroni incassa i complimenti di Sorrentino con un sorriso: «Me li ha fatti un premio Oscar, cosa altro devo chiedere di più?». Chissà se il primo segretario del Pd ha ripensato a quella scelta di 40 anni quando lavorava come assistente-regista di Gianni Bongioanni alla regia di un film, âUna pistola nel cassetto' e per la politica rinunciò al cinema. Sliding doors. Quaranta anni dopo rifarebbe ancora quella scelta? «Assolutamente sì. Non ho rimpianti. Rifarei tutto». Effetto Berlinguer.
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