COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Assia Neumann Dayan per "la Stampa"
Voi pensate, arrivate sul palco dell'Arena di Verona con 61 anni di carriera alle spalle a cantare quella che sicuramente è una delle canzoni più popolari di tutti i tempi, la tua canzone, quella che ti ha regalato l'amore di una nazione e un successo inaudito, e non succede niente di quello che ti aspetti. Loretta Goggi si è svegliata il giorno dopo aver cantato all'Arena di Verona per il programma Seat Music Awards di Raiuno con i social pieni di offese di varia natura. Li ha chiusi.
Pubblico offeso perché ha cantato in playback. Mi sembra evidente che viviamo in un'epoca che ha pretesa di verità in ogni ambito, anche quando si parla di arte, che non metto in maiuscolo per amor proprio. Ci sono quelli che si indignano quando un attore recita un ruolo che non corrisponde alla propria identità di genere, ad esempio, dimenticando che, insomma, fare l'attore significa esattamente essere qualcosa di altro da sé.
Canti in playback? Che indignazione, quella non è la tua voce qui, ora, subito, come si permette signora Goggi. Gli indignati del playback da casa si sentono presi in giro e non capisco bene in che modo, perché io davvero vorrei sapere chi in quel momento non era in piedi sul divano a perdere la voce urlando «che fretta c'era, maledetta primavera».
Come succede da 40 anni a questa parte. Quando l'inquadratura si è spostata sul pubblico, si vedevano questi ragazzi molto giovani con le lucine in mano che sillabavano sotto le mascherine, perché Maledetta primavera è uno di quei pezzi che tutti sanno, tutti autocompletano il testo anche in conversazioni quotidiane, ogni primavera tutti, ma proprio tutti, postano questa canzone sui social, e non importa che tu abbia 70 o 15 anni, tu Maledetta primavera la onori. Eh ma il playback, signora mia. Io spero solo che la signora Goggi questi commenti li abbia letti facendosi aria con le banconote dei diritti Siae. D'altra parte, nello status di Facebook in cui Goggi si congedava dai social, c'era scritto che le sono piovute offese anche su trucco, parrucco, vestiti, faccia.
Possiamo tranquillamente affermare che una donna è libera di fare ciò che vuole della propria faccia solo se non urta il nostro comune senso del pudore. Hai visto come si è rifatta? Non sembra più lei! Già, il feticismo del vero non si accontenta nemmeno del verosimile. È pur vero che il chiacchiericcio sui corpi delle dive è sempre esistito, tra riviste patinate e negozi di parrucchieri, ma non vedo il motivo per cui sia necessario andare sul profilo di un'artista a scriverle che sembra di plastica.
Chissà cosa si prova a essere quel tipo di persona, chissà cosa si prova ad avere troppo tempo libero. Chiara Ferragni è diventata bravissima a fatturare gli scandalizzati, e mi immagino anche lei che legge i commenti orrendi che le scrivono facendosi aria con le banconote delle sue azioni milionarie.
Perché non fomentarli e guadagnare sugli insulti? Penso però che la signora Goggi abbia tutto il diritto di ritenersi offesa, e di volerla chiudere qui. Pensiamo che ci sono persone che chiamano un magnifico Etro «un vestito da pagliaccio». Io toglierei il diritto a scrivere sui social per molto meno. Goggi nel suo post su Facebook scrive: «Non scenderò oltre al livello dei leoni e, ciò che più mi fa tristezza, delle leonesse (alla faccia della solidarietà femminile! ) della tastiera, sono già andata oltre il mio stile».
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La solidarietà femminile è un grande mito a cui abbiamo creduto per molto tempo, ma credo che oggi come ieri l'arte dell'insulto sia forse l'unica grande parità che abbiamo. Continueremo a cantare Maledetta primavera ancora per moltissimi anni, e spero che Loretta Goggi ci dia il privilegio di vederla su un palco ancora molte volte, anche in playback andrebbe benissimo.
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