“VISTI DA LONTANO” (SCORTICATI DA VICINO) - LORENZETTO SCODELLA NEL SUO NUOVO LIBRO LA STORIA DEL PREMIO ‘’È GIORNALISMO’’, RIBATTEZZATO PREMIO STALIN DA FELTRI - UN RITRATTO IMPIETOSO DELLA CATEGORIA, COL PRIMO DELL’ALBO D’ORO, CURZIO MALTESE, CHE AL COSPETTO DEL TRIO MONTANELLI-BIAGI-BOCCA ANZICHÉ LEGGERE LA MOTIVAZIONE DEL PREMIO SI LIMITA A SBIRCIARE CHE NELLA BUSTA CI SIA L’ASSEGNO DA 30 MILIONI DI LIRE...

Stefano Lorenzetto per "Visti da lontano" (Marsilio)

Con l'Amalfi Coast Media Award alla carriera, conferitomi nel ricordo di Biagio Agnes, l'andropausa premiale dovrebbe essere finalmente raggiunta. Deo gratias. Posso ritornare a occuparmi a tempo pieno dei miei "tipi italiani", i soliti ignoti, gente senza storia alle spalle ma con grandi storie da raccontare. Pochi ambienti, come il Premificio Italia, mi hanno aperto gli occhi su quanto sia pervasiva, intossicante, contagiosa, abbruttente la prossimità delle "very important persons" e l'esercizio del narcisismo che essa scatena.

Nel mio computer è conservato il regolamento che stesi per il più ghiotto alloro giornalistico italiano, se non altro in termini economici: 30 milioni di lire all'origine, pignolescamente convertiti in 15.493,71 euro con l'avvento della moneta unica. Si chiama premio È giornalismo. L'articolo 2 recita: «Al premio potranno concorrere gli iscritti negli elenchi dell'Ordine nazionale dei giornalisti».

Infatti è stato onorato premiando Francesco Tullio Altan, vignettista; Antonio Ricci, autore di Striscia la notizia e Paperissima; Fabio Fazio, presentatore di Che tempo che fa cresciuto alla scuola di Raffaella Carrà (Pronto Raffaella) e Loretta Goggi (Loretta Goggi in quiz). L'articolo 4 stabilisce: «Il premio sarà assegnato, a insindacabile giudizio della giuria, all'autore dell'articolo più significativo pubblicato da un quotidiano o da un periodico editi in Italia».

Infatti è stato onorato, insieme con l'articolo 2, assegnandolo «a uno straniero, che scrive in inglese e stampa il suo giornale a Londra», come perfino La Repubblica fu costretta a rilevare: Bill Emmott, il direttore di The Economist, noto per la sua coriacea avversione a Silvio Berlusconi.

Con l'eccezione di Ettore Mo, Sergio Romano e Mario Calabresi, parrebbe quest'ultima, a scorrere il palmarès, l'unica cifra, o per meglio dire il fil rouge, che lega tutti gli altri premiati nel corso degli anni e cioè Curzio Maltese, Gianni Riotta, Gian Antonio Stella, Claudio Rinaldi, Natalia Aspesi, Barbara Spinelli, Francesco Giavazzi, Milena Gabanelli, Attilio Bolzoni. Donde la modifica della denominazione d'origine in premio Stalin (copyright Vittorio Feltri).

L'È giornalismo fu fondato nel 1995 da un imprenditore delle mie parti, Giancarlo Aneri. Tre anni prima era diventato il padrino di battesimo di mia figlia, ciò che lo costrinse a sottoporsi a un incontro di catechesi domenicale col ministro del sacramento nella canonica di Bardolino, sul lago di Garda; lui e io, da soli, al cospetto del parroco, don Amadio Caobelli, un prete tosto, guareschiano, per nulla impressionato dal curriculum dell'imprenditore.

Intervistato sulla Stampa da Claudio Sabelli Fioretti nel marzo 2009, Aneri ha rivelato chi fu il giornalista che conobbe dapprincipio: «Il primo che mi intervistò, Stefano Lorenzetto, corrispondente da Legnago dell'Arena». Dalla risposta pareva che tale fossi rimasto. Poco male: la provincia è ancora casa mia.

Ho qui sotto mano il ritaglio ingiallito del quotidiano, 23 novembre 1983, pagina del Basso Veronese. Titolo: «Il "coppiere" dei potenti della Terra fa brindare anche il Papa e Pertini». Varie foto a corredo. Aneri con Gregory Peck. Aneri con Roger Moore. Aneri con Gilles Villeneuve. Ma la più significativa è quella in cui figura, ultimo a destra, a casa di Enzo Ferrari insieme con Ugo Tognazzi, Enzo Biagi, Ottavio Missoni, Roberto Bettega e Gino Lunelli in occasione della presentazione di un libro sugli 80 anni delle cantine Ferrari di Trento.

Lunelli a quel tempo era il datore di lavoro di Aneri. Aveva scovato il giovanotto a Legnago, suo paese d'origine, dove faceva il rappresentante in una piccola casa vinicola, Petternella, e se l'era portato a Trento. In breve tempo Aneri era diventato l'ambasciatore dello spumante Ferrari nel mondo. Ho girato l'Europa insieme con lui: Mosca, Londra, Parigi. Ne ho osservato il viso terreo, contratto in un sorriso perenne ad alta definizione, quando curava fin nei minimi dettagli il cerimoniale delle pubbliche celebrazioni, ieri in onore dei Lunelli, oggi pro domo sua.

L'ho compatito mentre, con lo stomaco serrato dall'ansia, rimandava indietro intonse le pietanze che i camerieri gli avevano servito, tutto concentrato com'era unicamente sul buon esito della parata di stelle. L'ho visto prendere amabilmente per la collottola un barbuto collega dell'Adige di Trento che s'era presentato in maglione a una cena di gala nel londinese Grosvenor House, presenti Rocco Forte, figlio di sir Charles, e lord Charles Churchill, nipote di sir Winston, costringerlo a risalire in camera, procurargli al volo non so come e non so dove una camicia, una giacca e una cravatta, e riammetterlo al Ninety, il ristorante interno dell'albergo di Park Lane, in tempo per la presentazione del menù a base di grappa Segnana inventato dallo chef Vaughan Archer.

L'ho seguito nelle sue tentacolari peripezie per guadagnarsi l'amicizia e la fiducia di Luciano Benetton, di suo figlio Alessandro, di Giovannino Agnelli, pace all'anima sua, fino a convincerli, sia pure per un breve tratto della loro vita, a mettersi addirittura in società con lui nel commercio di vino, olio, caffè, cioccolato.

Il successo di Aneri è spiegabile con una formula tutt'altro che alchemica: inseguire i Vip con pertinacia, con eroica improntitudine, in qualsiasi ambiente. Entrò nel mondo della Formula 1 dopo essersi presentato nella casa dell'ingegner Ferrari a Maranello, recandogli in dono sei bottiglie di champenois.

S'insinuò negli spogliatoi dello stadio Santiago Bernabeu di Madrid, l'11 luglio 1982, usando come lasciapassare il magnum che avrebbe annaffiato il 3 a 1 dell'Italia contro la Germania nella finalissima della Coppa del mondo. Vestito di scuro come i funzionari della Farnesina, nel giugno 1980 riuscì a superare i controlli al Vertice dei Grandi di Venezia, arrivando a tiro di Margaret Thatcher e porgendole una flûte di Ferrari.

Io stesso lo vidi rincorrere sulla piazza Rossa di Mosca l'anziano critico cinematografico Gian Luigi Rondi, che avevo notato per caso mentre passeggiava assorto: si presentò, gli porse il biglietto da visita e lo invitò all'Hostaria Ferrari che quella sera avrebbe inaugurato nell'hotel Mezhdunarodnaya del World Trade Center, primo italiano ad approfittare della perestrojka gorbacioviana.

Col tempo l'intraprendente legnaghese era diventato intimo amico, oltre che di Enzo Biagi, anche di Giorgio Bocca, di Indro Montanelli e di numerosi altri giornalisti. «Appena li conoscevo mi attaccavo a loro come una patella e non li mollavo più. Li sentivo anche tre volte al giorno», ha confessato a Sabelli Fioretti, fotografando come meglio non si potrebbe l'unico segreto della scalata al potere.

Montanelli, Biagi e Bocca erano i tre giurati del premio È giornalismo, con Aneri in veste di segretario «senza diritto di voto» (articolo 7). Ricordo la consegna della prima edizione a Curzio Maltese, che ai loro occhi aveva l'impareggiabile merito di scorticare il solito Berlusconi un giorno sì e un altro pure sulla Repubblica.

Saletta riservata del ristorante Santini, allora in corso Venezia. Attorno al tavolo, i tre grandi vecchi della giuria, Aneri, Maltese, io e nessun altro, a parte Beppe Severgnini che si unì a noi al momento del caffè. Biagi consegna a Maltese una cartellina nella quale sono racchiusi un foglio dattiloscritto con la motivazione del premio e una busta bianca.

L'editorialista della Repubblica afferra la busta, scosta il lembo di chiusura per controllare che ci sia dentro l'assegno, la infila nella tasca interna della giacca, non degna di un'occhiata la lettera accompagnatoria della giuria, si guarda attorno e alla fine individua alle sue spalle una sedia sulla quale depositare la cartellina: gli sembrava sconveniente appoggiarla sul tavolo apparecchiato per il pranzo.

Per cui pare assolutamente ragionevole che, morti Montanelli e Biagi, Maltese abbia subito affiancato Bocca in giuria. E dove lo trovi un altro così?

 

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