DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Uno con il mio cognome non sarà mai sindaco di Torino». Era la primavera del 2010. L’allora senatore del Partito democratico Stefano Esposito aveva a ppena fatto da paciere tra il segretario del suo partito, Pier Luigi Bersani, e il sindaco della sua città, Sergio Chiamparino, progressisti contro riformisti, certe cose non cambiano mai.
Era un politico in rampa di lancio, considerato al tempo stesso una testa fina e una testa calda, caratteristiche che ha conservato. Venne rieletto, continuò a fare il suo lavoro tra alterne vicende. Fino al 2017, quando lo raggiunse un avviso di garanzia per corruzione emesso dalla procura del capoluogo piemontese. A cambiare, anzi a girare su sé stessa, fu allora la sua vita. Perdita del lavoro da civile, depressione, la lotta per dimostrare la propria innocenza che diventava necessaria ossessione.
(...)
Sono passati 2.589 giorni da allora. Senza un rinvio a giudizio, senza mai un interrogatorio. Niente di niente. Ieri, la procura di Roma, diventata competente per il semplice fatto che il magistrato che indagava su di lui aveva utilizzato qualcosa come cinquecento intercettazioni proibite, perché fatte quando Esposito era parlamentare, ha infine archiviato ogni accusa nei confronti dell’ormai ex senatore, lontano dalla politica, alla ricerca di una nuova direzione della sua vita.
E lo ha fatto entrando nel merito, anche se avrebbe potuto esimersi dal farlo, dando una di quelle lezioni al collega di Torino che chiunque, se le ricevesse nel proprio ambito lavorativo, sarebbe portato a porsi qualche domanda sulla bontà del proprio operato. Peschiamo a strascico, nell’opera di demolizione di una indagine, che, anche questo è messo nero su bianco, mai sarebbe dovuta cominciare perché basata su un «labile spunto investigativo». L’ipotesi accusatoria viene definita «irragionevole». La presunta messa a disposizione di Esposito del suo ruolo di parlamentare a favore di un imprenditore privato è «un congetturale spunto investigativo, mai confermato dall’esito delle indagini».
Per tutto il resto, ci si addentra in una selva di «mancano riscontri concreti», «risultanze logicamente inconciliabili» con le tesi dell’accusa, fonti di prova «che non rilevano alcunché» e che non «rivelano mai, in alcun caso, la loro ragionevole idoneità a dimostrare l’esistenza di un patto illecito». In buona sostanza, l’inchiesta condotta dal pubblico ministero torinese, che non citiamo per nome onde evitare personalismi, è la perfetta dimostrazione di come non bisogna fare una indagine.
Nel frattempo, il mondo è andato avanti, e Torino ha persino eletto un sindaco con un cognome di origine simile a quello di Esposito. Solo lui, l’indagato, è rimasto al palo. Per sette anni, che nessuno mai gli restituirà. Non è la prima volta che accade.
In generale, e anche nel caso specifico. Il magistrato in questione ha un tabellino personale che fa impressione. Per stare alle sue ultime prestazioni: tre ex sindaci indagati per inquinamento ambientale, prosciolti dopo quattro anni; accuse di irregolarità commesse nella gestione del Salone del libro a ex sindaco ed ex assessore alla Cultura, prosciolti dopo cinque anni; accusa di falso elettorale al deputato leghista Riccardo Molinari, prosciolto con formula piena nel novembre 2023; accusa di associazione mafiosa e corruzione a noto imprenditore torinese formulata nel 2017, archiviata all’inizio di quest’anno.
La responsabilità civile dei magistrati, per carità, non si può fare. I test attitudinali, neppure. Non sappiamo quale sia il rimedio possibile. Ma anche evitare di distruggere la vita delle persone, non sarebbe male.
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