
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
1 - LA MOGLIE DEL SENATUR IN PIAZZA
Dal "Corriere della Sera" - C'era anche Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi, ieri a Venezia per il raduno dei popoli padani. La presenza della signora Bossi a questo genere di appuntamenti non è abituale. Forse questa volta è stato un modo per rispondere all'attacco del settimanale Panorama che qualche giorno fa l'aveva descritta come «imperatrice della Padania» e regista del cerchio magico che protegge il Senatur.
2 - CALDEROLI ACCUSA I «FRATELLI COLTELLI»
MARONI SCEGLIE IL BASSO PROFILO SUL PALCO DI VENEZIA UN PARTITO DIVISO
Marco Cremonesi per il "Corriere della Sera"
La prima fotografia si può scattare pochi istanti prima del gran finale, la cerimonia dell'ampolla in cui l'acqua prelevata sul Monviso viene versata in laguna. Di nuovo si alza quel coro: «Ma-ro-ni, Ma-ro-ni...». L'interessato non dice una parola, non fa un cenno, non sorride: scompare. Si lascia inghiottire dalla folla dei dignitari leghisti che affollano il palco sulla Riva dei martiri e non si vedrà più su quella prima linea che per carica e anzianità di servizio gli apparterrebbe di diritto.
Il secondo scatto è la ragazza in maglietta verde che respinge le domande dei cronisti: «Non parlo, ci hanno consigliato di non rilasciare interviste». Aggiunge il giovane padano vicino: «Abbiamo avuto la direttiva di parlare solo con Tele e Radio Padania». C'è chi la direttiva non l'ha recepita, ed esibisce un grosso cartello «staccare la spina» con tanto di presa di corrente verde padano.
La terza immagine è per Marco Reguzzoni e Federico Bricolo. Sono i due capigruppo, Camera e Senato. Tengono le braccia conserte, quando devono applaudono. Ma non parlano. Diversamente dal passato, si è ritenuto che non prendessero la parola: «Troppo alto il rischio di contestazioni» sentenzia più tardi un membro del consiglio federale padano.
E in effetti, gli unici fischi che risuonano - pochi per la verità - arrivano quando Rosy Mauro spiega che «non è vero che non abbiamo difeso l'età pensionabile delle donne». La vicepresidente del Senato è infatti identificata, così come i due capigruppo, con quel «cerchio magico» che ha dichiarato guerra, in nome di Bossi, a tutti coloro che nel movimento non si allineano.
Eppure, la verità è che ormai non c'è cerchio magico, non ci sono maroniani, non ci sono venetisti contro lombardi. Il fatto è che ora la Lega ha paura. Paura che le divisioni interne possano lacerare il movimento come mai è accaduto in passato. Paura che l'abbraccio con il premier, l'innominato, si riveli mortale. Paura che dopo un decennio segnato dall'asse Bossi-Berlusconi, gli elettori comincino a «tirare qualche riga per fare il conto». Paura, soprattutto, di perdere l'antica presa sui militanti: all'inizio dei comizi, la Riva dei martiri è veramente poco affollata.
Più tardi si popolerà , sia pure restando ben al di sotto delle passate edizioni. Ma nell'euforia dello scampato pericolo, i leghisti la sparano grossa: «Siamo in 50 mila». Il poliziotto a cui si chiede conferma scoppia a ridere: «E dove ci stanno qui cinquantamila persone?». La questura non fornisce dati. Anzi, non conferma una prima stima di 10 mila presenze.
Certo, c'è chi non rinuncia a tuonare. Roberto Calderoli, per esempio. Se la prende con i «fratelli coltelli, quelli più bossiani di Bossi. Dicono e cantano fuori dal coro e così hanno spazio sui giornali. A questi dico che senza Bossi non sarebbero nulla». Un po' contradditorio, se si vuole, con la sua tesi dei «giornalisti che si inventano le nostre divisioni».
E c'è anche chi continua, proprio come Calderoli, a prendersela con i sindaci che hanno criticato la manovra. Un assessore di Lesmo, Flavio Tremolada, sbuffa: «C'è qualcuno che ha perso l'idem sentire. Visto che finalmente si torna a parlare di secessione, non c'è più posto per i sindaci con la fascia tricolore e i presidenti del consiglio leghisti». Sistemato anche Maroni. A proposito dei sindaci, si può aggiungere un'altra foto: quella di Flavio Tosi da Verona e Attilio Fontana da Varese - i più esposti contro i tagli delle ultime manovre - che non salgono sul palco finché parla Calderoli.
Lo fanno solo quando il ministro alla Semplificazione lascia il microfono. Chi può permettersi d'ignorare la rigida disciplina di partito è Giancarlo Gentilini, prosindaco di Treviso, l'acclamato sceriffo della Lega di un'altra stagione, ieri non era a Venezia. A chi gli chiede il perché, dice chiaro: «Ho reclami, lagnanze dal mio popolo leghista e non voglio essere il capro espiatorio della politica. Io non sono un politico e ho un mandato: amministrare».
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