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Paolo Griseri per "la Repubblica"
Il dialogo tra Fiat è sindacati «è essenziale. Per questo l'annunciato incontro tra Sergio Marchionne e Maurizio Landini è un fatto positivo». Piero Fassino, per lunghi anni tra i dirigenti della sinistra torinese che dialogavano con la Fiat, giudica così le recenti aperture mostrate dall'ad del Lingotto e dal segretario della Fiom. Poi avverte: «Uno dei motivi delle incomprensioni di questi anni è l'evidente sottovalutazione che in Italia è stata fatta dei successi ottenuti da Marchionne».
Fassino, c'è da fidarsi della Fiat?
«Esattamente come ci si fida di Intesa, della Ferrero, di altre società . Non capisco perché si debba avere un pregiudizio nei confronti della Fiat. Credo che dobbiamo lavorare tutti affinché il gruppo del Lingotto rimanga uno degli assi portanti del sistema Italia».
Dopo anni di conflitto Marchionne e Landini hanno annunciato un prossimo incontro. Come lo giudica?
«Intanto mi auguro che vada bene. Penso che in questa fase difficile per il Paese, qualsiasi gesto che vada nella direzione del dialogo sociale debba essere apprezzato. Chiunque abbia a cuore il nostro futuro deve augurarsi che vengano superate le conflittualità ».
Come pensa che possa andare a finire l'incontro?
«Marchionne e Landini sono due persone esperte e intelligenti e sanno che quando si deve superare un conflitto duro è necessario che ciascuno si metta anche nei panni dell'altro. Altrimenti l'incontro è inutile».
Secondo lei, chi potrebbe avere interesse a mantenere in piedi l'incomunicabilità tra Fiat e Fiom?
«In teoria nessuno di coloro cui sta a cuore il futuro del Paese può pensare di trarre giovamento dallo scontro tra il principale sindacato e la principale azienda privata italiana».
Il ministro Zanonato ha definito Mirafiori uno stabilimento che rischia l'obsolescenza. E' d'accordo?
«Non mi impiccherei alla discussione su un termine. Mi sembra da apprezzare la scelta del ministro per richiamare la necessità di fare al più presto nuovi investimenti negli stabilimenti a partire da Mirafiori. Elkann e Marchionne hanno preso l'impegno di non chiudere fabbriche e dobbiamo sostenere questo sforzo».
I prossimi mesi avranno al centro la discussione sugli effetti della fusione con Chrysler. Dopo l'operazione il baricentro di Fiat-Chrysler si sposterà in America?
«Premettiamo che senza l'alleanza con Chrysler, oggi probabilmente la Fiat sarebbe già chiusa. L'alleanza ha trasformato la Fiat da azienda internazionale in azienda globale. Dopo la fusione nulla potrà essere come prima. Ci sarà da razionalizzare le reti, i siti, l'organizzazione produttiva, ci sarà una ristrutturazione inevitabile. Bisogna lavorare perché l'Italia e Torino mantengano un ruolo strategico. Certo non si può pensare che domani le scelte che riguardano il mercato americano vengano prese soltanto al Lingotto».
Che cosa può fare oggi la politica sulla vicenda Fiat?
«Deve far sì che tutti gli imprenditori, non solo la Fiat, abbiano leggi chiare con cui lavorare. Non si può investire senza un quadro di regole ragionevolmente stabile. Ci saranno probabilmente da varare norme sulla rappresentanza in fabbrica che diano certezze. E poi la politica potrebbe aiutare a svelenire il clima.
Per esempio riconoscendo a Marchionne i meriti che indubbiamente ha. Senza di lui non sarebbe stata possibile l'operazione con Chrysler che ha salvato la Fiat. Senza di lui non sarebbero state fatti investimenti come quello in Maserati che ha salvato la ex Bertone. Questo non significa che si debba sempre lodare la Fiat o approvare tutto ciò che viene fatto al Lingotto. Ma certo se chi fa si vedesse riconosciuto il merito, il clima generale delle relazioni migliorerebbe».
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