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Francesca Schianchi per “la Stampa”
Il voto finale non arriverà prima della prossima settimana, ma di fatto la suspense sull’Italicum è finita alle 13,44 di ieri, quando è stato approvato, con 175 voti a favore, 110 contrari e due astenuti, con il determinante appoggio di Forza Italia, l’emendamento Esposito che riassume tutti gli aspetti salienti della legge elettorale e, come comunica il presidente di turno Roberto Calderoli, fa decadere «circa 35 mila dei 47 mila emendamenti presentati», molti da lui stesso.
Premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, soglie d’ingresso in Parlamento abbassate al 3%, capolista bloccati ed entrata in vigore della legge nel luglio 2016 sono le caratteristiche fondamentali ormai decise dal voto di ieri, a cui si sono ribellati quasi tutti i 29 senatori della minoranza Pd (22 no, 6 non partecipano al voto).
Ai loro voti mancanti, però (su 108 senatori dem sono arrivati solo 74 sì), si sono sostituiti quelli dei berlusconiani, 46 ok che permettono alla nuova versione dell’Italicum di viaggiare spedito verso l’approvazione. E alle opposizioni in Aula di gridare al cambio di maggioranza.
GOTOR RESPINTO
«L’Italia va avanti, chi prova a interrompere tutte le volte il percorso delle riforme possiamo dire che, per il momento, non ce la fa», esulta da Davos il premier Renzi, «ora la legge elettorale è molto più vicina», si gode la sua vittoria al Senato. Falliti i tentativi della minoranza dem di mettersi di traverso: non passa nessuno dei due emendamenti del bersaniano Miguel Gotor per eliminare i capilista bloccati.
Mentre l’emendamento Esposito arriva tranquillamente in porto, nonostante le richieste di accantonamento (respinta) e di voto per parti separate (respinta pure lei), anche se restano agli atti i tanti dissensi: da Carlo Giovanardi di Ncd a un’area di Forza Italia per la quale parla la senatrice Cinzia Bonfrisco in un accorato intervento («non tutta Forza Italia è votata a questo suicidio collettivo e pilotato», a questa sorta di «eutanasia politica»).
TENSIONI NELLA MINORANZA
Oltre che, appunto, la minoranza Pd che, a differenza di quello che pensavano alla vigilia i renziani, resta compatta nella sua opposizione all’Italicum. E pure alla Camera lancia un segnale di sofferenza, quando una cinquantina di deputati lascia l’Aula al momento del voto di un emendamento del Pd Rosato alla riforma costituzionale per ripristinare i senatori a vita.
Nel pomeriggio si riunisce a Montecitorio: fanno filtrare il numero di 140 parlamentari presenti, qualcun altro dice non oltre una novantina, comunque ci sono tutti i leader, da Bersani a Civati a Cuperlo alla Bindi (si guarda intorno e sospira «ci sono anche i traditori», scherza su qualche senatore che ha votato il cosiddetto «Espositum»).
In un clima pesante: «Renzi lo sa benissimo, c’era una possibile mediazione sull’Italicum e loro non hanno voluto mediare», commenta Bersani, «ora spetta a lui dire se si può partire dall’unità del Pd».
Ammesso che ci sia rispetto: «Dare del parassita a Corsini, Gotor, Mucchetti è pericoloso», dice facendo riferimento a una dichiarazione infelice rilasciata a Repubblica ieri da Esposito, per il quale si è poi scusato, «se viene meno il rispetto è finita». Le votazioni delle riforme proseguono. Chi prova a interromperle non ce la fa, garantisce Renzi. Ma ora l’attenzione della minoranza è tutta rivolta all’appuntamento capitale della settimana prossima: l’elezione del presidente della Repubblica. Un nome condiviso è il solo antidoto a brutte sorprese.
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