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Ugo Magri per âLa Stampa'
Già stasera, al massimo domattina, la prima Commissione della Camera comincerà a occuparsi della riforma elettorale appena «scippata» al Senato. Il suo presidente, l'avvocato barese Francesco Sisto (Forza Italia) ha in animo una riunione «orientativa» per pianificare i lavori.
Se ci saranno professori da ascoltare, «tecnici» di cui è impossibile ignorare il parere, si procederà da subito a fissare le audizioni. «Non intendo perdere nemmeno un minuto», spiega Sisto, nelle cui orecchie risuona il rimbrotto di Napolitano per «l'acqua pestata nel mortaio» dall'altro ramo del Parlamento. «Però», mette le mani avanti, «senza nemmeno ansia da prestazioni...».
Il giusto mezzo. La Commissione si attende che dai vertici politici arrivino indirizzi chiari. E soprattutto, che il neo-segretario Pd faccia la prima mossa. Renzi ha dichiarato domenica che vorrebbe una nuova legge elettorale tempo al massimo un mese, cioè prima che la Corte costituzionale renda note le motivazioni con cui ha giustiziato il «Porcellum».
Fonti vicine al sindaco-segretario precisano che questo sarebbe il traguardo ottimale; poi, certo, nessuno ne farà questione di giorni. Basterebbe che il testo della riforma ottenesse disco verde in Commissione, sulla base di un accordo politico ferreo da fotocopiare in Senato, e già andrebbe bene.
Paradossalmente, la scelta più difficile è proprio quella che compete a Renzi. Il quale si trova in queste ore davanti a un bivio: può imboccare la strada che gli addita Napolitano (gliel'ha pubblicamente ricordata ancora ieri), che consiste nel mettere al primo posto la stabilità di governo.
Dunque, cercare anzitutto un accordo con Alfano, che però non ha alcuna fretta di metterlo nero su bianco, vorrebbe che maturasse nei tempi maestosi di una riforma del bicameralismo, e comunque non accetterà mai un ingranaggio che lo getti nelle fauci del Caimano, il giorno in cui si tornerà a votare.
Sul merito della possibile intesa, c'è fitta nebbia, sebbene il vice-premier e il ministro delle Riforme Quagliariello (citato quale esempio da Napolitano) abbiano offerto a Renzi una disponibilità al doppio turno di marca francese, che offre numerose cartucce alle forze intermedie. Se ne discuterà nell'ambito del negoziato programmatico delle prossime settimane.
L'altra via è quella dove vorrebbero attirarlo Berlusconi e Grillo. Presuppone un accordo fulmineo almeno quanto lo desidera il segretario Pd, con il sottinteso che subito dopo si potrebbe tornare alle urne. Silvio e Beppe non vedono l'ora, nella convinzione di vincere; Matteo sembra voglioso almeno quanto loro. Un canovaccio d'intesa esiste e si chiama «Mattarellum».
Vale a dire la legge con cui si è votato per tre volte dal '94 al 2001. Ha il pregio che, dal punto di vista costituzionale, non può essere contestata. E già questo sarebbe un consistente argomento per tornare al passato. Ma poi ce n'è un altro, che molto attrae i capi-partito: permetterebbe loro di scegliersi i candidati, uno per collegio, senza che siano gli elettori a fare la cernita con le preferenze. Il «Mattarellum» offre, sotto questo punto di vista, il massimo del controllo politico consentito dalla sentenza della Consulta.
Se prenderà questa via, Renzi può contare sui Cinque stelle. Il grillino Giarrusso lo dice chiaro: sul Mattarellum «non c'è da fare accordi, c'è solo da votare». Quanto a Berlusconi, domenica s'è sbilanciato anche lui «per la legge che c'era prima». Nardella, esploratore per conto di Renzi, ha stuzzicato Brunetta a chiarire se l'uscita del suo Capo era stata buttata lì tanto per dire, ovvero si tratta di una posizione meditata. Il capogruppo «azzurro» gli ha fatto capire che è roba seria, provare per credere...
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