NATIONALSOZIALISTISCHE UNTERGRUND - ALLA SBARRA L’ANIMA NERA DEL NAZI-TERRORISMO TEDESCO

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Andrea Tarquini per "la Repubblica"

Accenni di sorriso gelido sul volto pallido, le spalle a telecamere e parenti delle vittime per disprezzo. Eleganza da fredda leader: abito-pantalone nero, camicetta bianca, piccoli orecchini d'argento, capelli neri ben curati. Così ieri mattina Beate Zschaepe, classe 1975, pasionaria e capocolonna del terrorismo neonazista, si è presentata in aula a Monaco. È lei l'eroina negativa della tragedia, l'anima nera assassina della Germania nostalgica e razzista, cui la Germania migliore, quella al potere, intenta il processo.

Fredda e decisa, incoraggiata dai messaggi amorosi che il camerata norvegese Breivik, il mostro di Utoya, le invia dal carcere, è apparsa così in aula la Beate teenager di 20 anni fa, quando da ragazza senza arte né parte nei tristi palazzoni di periferia di Jena, ex Ddr travolta dalla riunificazione, entrò nella galassia nera perché innamorata di due ragazzi. Fu lei, nel ménage- à-trois, la manager della lotta armata.

«Chi? Lei, Beate la vicina modello? Ma com'è possibile, era sempre così carina e gentile, accudiva ai nostri bimbi ai giardinetti, si occupava di cani e gatti di tutti, una brava ragazza...».

Reazioni incredule dei vicini la dicono lunga, forse anche sulla voglia di rimuovere, certo sulla genialità criminale con cui Beate organizzò il gruppo di fuoco. Nationalsozialistische Untergrund, cioè gruppo clandestino nazionalsocialista, si chiamò il trio infernale. Lei amministrava conti e contatti segreti, lei procurò l'automatica cecoslovacca col silenziatore ai suoi due amanti. È una causa nobile, pensava, intimidire questi stranieri che ci strappano identità e patria.

C'è tutto il dissesto morale dell'Est tedesco nella storia di Beate. La madre, odontotecnica, il padre un romeno che lei non conobbe mai. Mamma disoccupata e alcolista dopo la riunificazione. «Mia nonna ebbe cura di me, di una cosa sola mi pento oggi, di non averla più visitata e ringraziata», ha detto Beate agli inquirenti. Confessando almeno un rimorso.

Divenne diciottenne nel caos lumpenproletario dei palazzoni di periferia a Jena post-89, Winzerla o Lobeda. Frequentò senza slancio corsi di qualifica professionale,
sognava di diventare maestra d'asilo, poi divenne giardiniera.

La cotta per Uwe Mundlos, figlio d'un insegnante, intelligente e brillante, nazista convinto, fu la sua prima svolta. Si amarono, poi lui fu chiamato sotto le armi. Il nuovo colpo di fulmine venne quasi subito: con Uwe Boenhardt, anche lui neonazista, noto picchiatore. «Lei ci sembrò la nuora ideale», dissero i genitori del secondo Uwe.

Uwe primo tornò congedato, l'ideale comune fece di loro un trio amoroso infernale. Vissero insieme per anni, andavano a letto in tre e in tre passarono all'azione, in un'escalation. Cortei contro gli antinazisti, pestaggi dei venditori di sigarette vietnamiti, concerti nazirock. L'appartamento nella palazzina soppalcata col tetto spiovente a Polenzstrasse a Zwickau fu il loro nido d'amore e covo di morte. Là, per tredici anni, dal 1998 al 2011, pensarono le azioni. Lei era la fredda manager, i due Uwe passavano all'azione in tutto il paese.

«Sono mio marito e suo fratello, viaggiano spesso per lavoro», diceva sempre ai vicini con cui era così gentile, per coprirli a ogni missione. Colpi alla nuca, a tradimento. Abdurrhaim Oezuedogru, Enver Simsek e Ismail Yasar, un sarto e due venditori di Kebab, caddero sotto i colpi della ‘Ceska' a Norimberga, il fruttivendolo Habil Kilic e il negoziante Theodoros Bulgarides nei loro negozietti a Monaco, Halit Yozgat nel suo internet café a Kassel, altri due venditori di Kebab, Mehmet Kubasik a Dortmund, Sueleyman Taskoepru ad Amburgo e Mehmet Turgut a Rostock. Fu "giustiziata", come pericolosa
antipatriottica, Michèle Kiesewetter, giovane poliziotta che chiedeva indagini più serie su quegli omicidi misteriosi.

Invano: per anni, polizia e servizi si accanirono a parlare di faide tra immigrati, non ascoltarono mai le famiglie delle vittime. I due Uwe si tradirono da soli il 4 novembre 2011, con un'ennesima rapina in banca ad Eisenach per autofinanziarsi. Andò male, circondati dalla polizia si uccisero. Beate reagì subito, da vera capo: salutò i vicini portando loro un'ultima volta cibo per gatti, dette alle fiamme la palazzina incurante della vecchia signora paralitica della porta accanto.

Passò gli ultimi giorni fuggendo, e inviando messaggi a gruppi neonazisti, media e organizzazioni turche per rivendicare le azioni. Con "Pogromly", un monopoli antisemita online per neonazi, e un macabro cartoon-video, la Pantera rosa trasformata in killer xenofobo gioioso. Poi si consegnò agli agenti. Così spavalda è arrivata in aula l'altro ieri. «Sembra una manager a una conferenza aziendale», ha detto Mehmet Daymagueler, avvocato dei parenti delle vittime.

 

Beate Zschaepe Beate Zschaepe e i suoi due complici jpegBeate Zschaepe Beate Zschaepe jpegBeate Zschaepe