FLASH! - IL DAZISTA TRUMP, PER SPACCARE L'UNIONE EUROPEA A COLPI DI TARIFFE SUI PRODOTTI ESPORTATI…
Tommaso Labate per roma.corriere.it - Estratti
La separazione delle carriere è «sacrosanta», lo sciopero delle toghe «inappropriato», sul rimpatrio di Almasri non c’è stato «alcun reato perché c’è la ragion di Stato», quanto invece al procuratore Lo Voi non c’era atto dovuto, anzi, «ha fatto una valutazione»; tornando indietro nel tempo, ad agosto, a verbale c’è anche una difesa di Arianna Meloni, «buttata nel tritacarne mediatico-giudiziario» perché «vogliono arrivare alla sorella Giorgia».
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L’amico che il governo di Giorgia Meloni non si sarebbe aspettato di avere con sé nel fronte della guerra con le toghe è la toga italiana più celebre di fine Novecento: Antonio Di Pietro, frontman del pool di Mani Pulite nonché, a seguito delle dimissioni dalla magistratura, due volte ministro nei governi Prodi, oltre che fondatore e leader dell’archetipo del partito legalitario italiano, che si chiamava non a caso l’Italia dei Valori, ancorato al centrosinistra prima che un clamoroso effetto domino scaturito da un’inchiesta del programma Report non ne provocasse una rovinosa quanto fulminea sparizione.
Chi si stesse chiedendo, per dirla a parole sue, «che c’azzecca» Di Pietro col governo Meloni, ecco, potrebbe avere come risposta il suo essere sempre stato considerato, genericamente, «di destra»; persino da uno dei suoi nemici giurati, Silvio Berlusconi, che non a caso nel 1994 gli aveva proposto il ministero dell’Interno del suo primo governo, operazione poi saltata perché il pm decise di rimanere nel pool di Mani Pulite.
ANTONIO DI PIETRO AL RISTORANTE DELLA CAMERA
La domanda, semmai, è «che c’azzecca» il Di Pietro del 2025, che evidenza l’inappropriatezza dello sciopero dei magistrati perché un potere dello Stato non può protestare «contro un altro potere dello Stato», con quel magistrato in giacca e camicia sbottonata che nel 1994 lesse in diretta televisiva il comunicato, sottoscritto anche dai colleghi del pool di Milano, in cui si protestava contro il decreto dell’allora ministro della Giustizia Alfredo Biondi, arrivando a chiedere «la destinazione ad altro e diverso incarico» qualora la norma (che favoriva gli arresti domiciliari per gli indagati in luogo della custodia cautelare in carcere) fosse stata confermata dal governo Berlusconi, che invece se la rimangiò.
Era incredibilmente la stessa persona: e cioè lui, Di Pietro. «Non sia stridente il contrasto tra ciò che la coscienza avverte e ciò che la legge impone», disse all’epoca concludendo la concitata lettura del documento. Oggi, evidentemente, non solo la sua coscienza e le scelte del governo Meloni non sono in contrasto; ma in certi casi sono così aderenti da sovrapporsi. Prodi nel 1996 lo volle nel suo governo perché convinto da una nipote che studiava all’università; e chissà, trent’anni dopo, che nel parentado Meloni non ci sia qualche nipote pronta a un suggerimento analogo.
ANTONIO DI PIETRO SUL TRATTOREANTONIO DI PIETRO CON I SUOI ASINIantonio di pietro gherardo colombo francesco greco piercamillo davigo ANTONIO DI PIETRO ACCERCHIATO DA CRONISTI DURANTE MANI PULITEgiorgia arianna meloniARIANNA E GIORGIA MELONI - NATALE 2024ANTONIO DI PIETRO SUL TRATTORE
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