DAGOREPORT - MARIA ROSARIA BOCCIA COLPISCE ANCORA: L'EX AMANTE DI SANGIULIANO INFIERISCE SU "GENNY…
Giampiero Mughini per Dagospia
i gesti, i giocatori principe, i gol che hanno reso "immortale" la storia del calcio, quelle partite che d'un tratto si arrovesciavano e cambiavano molto..
Ne ha scritto, o forse sarebbe più corretto dire ne ha cesellato, in questo suo libro recentissimo (Giocati da Dio, Hoepli, 2024) Roberto Beccantini, una firma ben nota a chi ama leggere le avventure del pallone e sono tanti in Italia che di quelle avventure hanno saputo scriverne mirabilmente. Da Gianni Brera in poi il giornalismo sportivo italiano è stato piuttosto un comparto della letteratura italiana, a cominciare dal fatto che ha saputo creare un suo gergo irrinunciabile nel raccontare una saga cara a milioni di lettori.
C'è chi vede le partire arrampicato sui gradini di uno stadio, ed è una cosa. C'è chi le assapora attingendo alle pagine palpitanti di un Gianni Mura o di un Antonio Ghirelli, di un Vladimiro Caminiti e di un Edmondo Berselli o di un Gianni Clerici, ed è un'altra cosa, non meno affascinante della prima.
Ai tempi in cui avevo vent'anni e "ll Giorno" era il quotidiano più moderno che si pubblicasse in Italia, le prime pagine su cui mi precipitavo ogni giorno con dita rese umide dall'emozione erano le sue pagine sportive. Nel presentare "Repubblica", il suo nascituro quotidiano che avrebbe cambiato il volto del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari annunciò che il suo giornale non avrebbe avuto pagine dedicate allo sport.
Ci mise poco ad accertarsi dell'assurdità suicida della cosa e a sganciare somme ciclopiche pur di avere nella sua squadra Gianni Brera, il re del giornalismo sportivo italiano. Ve lo immaginate quello strutturatissimo quotidiano cui oggi mancassero le pagine sportive, beninteso non del solo calcio? Ve lo immaginate oggi un quotidiano che non avesse pagine dedicate a Jannik Sinner all'indomani delle sue regali vittorie?
Da quarant'anni Beccantini il calcio lo segue passo dopo passo, partita importante dopo partita importante, torneo mondiale uno dopo l'altro. Allenatori e calciatori li conosce a puntino, è sceso negli spogliatoi dopo qualcuna di quelle partite leggendarie, s'è trovato faccia a faccia il Giampiero Boniperti che aveva saputo costruire una Juventus pressoché imbattibile e il Gigi Riva che in quel momento era il miglior goleador del mondo.
Sa tutto delle biografie di tanti di quei fuoriclasse, le volte che sembrava impossibile che la mettessero dentro come invece poi facevano, e le volte che fallivano un bersaglio che sembrava a portata di mano. Ha conversato a lungo con i più noti e creativi fra gli allenatori italiani, e siccome nel calcio quel che conta è il risultato, su tutte ricorda le raccomandazioni che paròn Rocco faceva a chi volesse costruire una squadra la più efficiente possibile, la più destinata alla vittoria: avere un portiere che parasse tutto, un difensore che fosse "un assassino", a mezzocampo un genio, in attacco un mona che la mette dentro tutte le volte che può, e infine sette "asini" che corrono avanti e indietro lungo il campo.
Una partita di calcio è come un tempio disposto su un colonnato. Colonne che Beccantini esamina scrupolosamente una dopo l'altra. Innanzitutto i giocatori che hanno fatto la storia di questo sport, Schiaffino come Maradona e Modric, e poi i paradigmi di questo sport, il tiro, l'arte del cross, il "lancio", il colpo di testa, la rovesciata, il tiro di punizione, l'assist. Ed ecco che Beccantini ti cesella le vette toccate in campo da ciascuno di questi paradigmi, ciascuno di per sé esaltante. L'assist di Mario Corso era pennello, non scalpello.
L'assist di Pelé era una lezione. Roberto Baggio ha rappresentato l'eterno contrasto tra ordine e disordine tanto che Michel Platini lo definì un "nove e mezzo, un giocatore che in parte era una mezzala, in parte un centravanti. Il cross di Angelo Domenghini era una scialuppa che trasformava un naufrago in un ammiraglio. La punizione di Zico era un pugnale trasformato in una carezza. Il colpo di tacco di Roberto Bettega di cui si servì per duettare con Pietro Anastasi illuminò San Siro in un memorabile 4-1 che la Juve impartì ai milanisti in casa loro. Il lancio di Andrea Pirlo era la punta di un iceberg che scompariva allo sguardo per poi riemergere. Ve l'avevo detto che Beccantini non scrive, cesella.
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