DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Arianna Ravelli per il “Corriere della Sera”
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Come cantava Mina, l’importante è finire. Arrivare in fondo a questa stagione mediocre, che non è mai decollata e, diciamo la verità, non ha più niente da dire. Non facile: potrebbero essere tre mesi di agonia. Ecco perché non si può escludere al 100% l’ipotesi di un cambio di panchina prima della fine della stagione, per provare a dare una scossa (ammesso che il traghettatore Tassotti rappresenti una scossa) e reagire all’aria diffusa di rassegnazione.
Decisiva potrebbe essere la sfida di sabato sera, in casa con il Verona, da vincere perché poi il ciclo delle gare «abbordabili» è finito (l’avversaria successiva è la Fiorentina). Quello che è certo, e lo è diventato ancora di più dopo il pari scialbo con il Chievo, è che la prossima ricostruzione sarà senza Pippo Inzaghi, scommessa persa di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, che hanno commentato il primo tempo di Verona al telefono, molto — ma molto — irritati.
Il gioco della squadra non migliora, a un passo avanti ne segue sempre uno indietro, il pari senza reti con il Chievo è stato solo un po’ meno peggio dell’1-1 a Torino un mese fa, ma ci muoviamo sempre tra le stesse sfumature di grigio. A questo punto della stagione è difficile pensare che arrivi il salto di qualità. Le premesse non ci sono: la squadra ha limiti fisici, atletici, tecnici e tattici.
La colpa, quindi, non è solo di Inzaghi che pure ha chiare responsabilità: se i toni si accendono solo quando c’è da puntualizzare sugli «spifferi» e mai quando ci sarebbe da evidenziare le pecche dei giocatori, è facile costruire paraventi e alibi. Se Ménez, anche nelle giornate più storte, deve per contratto giocare 90’ c’è qualcosa che non va. Se a febbraio la squadra non ha un’identità di gioco è l’allenatore che deve risponderne.
Ma c’è tutto uno staff (dieci persone, più Inzaghi) che ora è nel mirino (oltre a non essere particolarmente in armonia, tanto che Tassotti medita l’addio). Il centrocampo da cui ripartire, Poli-De Jong-Montolivo, al di là della prestazione sottotono del capitano (che già nel riscaldamento aveva avvertito un dolorino) è finito ancora fuori uso per due problemi muscolari: gli infortuni sono stati troppi.
Gli avversari corrono di più: se Pippo ribadisce che non è vero che si lavora poco, deve chiedersi se si lavora abbastanza bene sul piano dell’intensità. E c’è chi ricorda le numerose interruzioni durante gli allenamenti, che già capitavano con Seedorf e che si ripetono anche ora. A Verona si è vista l’ennesima punizione del Milan battuta in maniera bizzarra: l’esperto dei calci piazzati non ha mostrato efficacia.
Infine, l’atteggiamento. Dire che «non si può pensare di dominare a Verona con il Chievo» (e allora dove?) significa apparire rassegnati. Questa frase è figlia di una certa mentalità: Inzaghi presta molta attenzione allo studio degli avversari (è preparatissimo, conosce le caratteristiche di tutti i giocatori di A e B). Il che va ovviamente bene, ma non se va a discapito dello studio del proprio gioco, che il Milan deve saper imporre, indipendentemente da chi si trova di fronte.
I rossoneri, invece, danno spesso l’impressione di non sapere cosa fare del pallone. Rivelatore a sua insaputa è stato Alessandro Mastalli, centrocampista della Primavera, che ha indicato le differenze tra Pippo e l’attuale tecnico Brocchi: «Con Inzaghi conoscevamo pregi e difetti di ogni avversaria. La studiavamo con attenzione e quindi in campo era difficile sorprenderci. Ora invece non importa chi abbiamo di fronte, siamo concentrati esclusivamente su di noi. Entriamo in campo per fare la partita». Anticipiamo la battuta: non sarà Brocchi il prossimo allenatore, lo scotto dell’inesperienza è già stato pagato.
BARBARA BERLUSCONI E SEEDORF heroa
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