DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Marco Imarisio per il "Corriere della Sera"
Mario Calabresi, cosa ha pensato quando è arrivata la notizia?
«Confesso di essere rimasto sorpreso. Se n' era parlato molto negli ultimi due anni, ma non pensavo che sarebbe mai accaduto».
È corretto dire che ci sperava?
«Più come italiano che come privato cittadino. Ho sempre pensato che il rispetto delle sentenze che condannavano queste persone sarebbe stato un gesto molto importante per tutti noi».
Per chiudere davvero con gli anni di piombo?
«Non solo. Ho sempre trovato odioso e grave che la Francia non rispettasse le sentenze italiane. La dottrina Mitterrand prevedeva di dare asilo a chi non aveva le mani sporche di sangue. Poi, negli anni, è accaduto qualcosa».
La famosa interpretazione estensiva?
«Era piuttosto un lassismo che fu applicato per compiacere un mondo intellettuale francese che si divertiva a dipingere l' Italia degli anni Settanta come il Cile di Pinochet.
licia pinelli gemma calabresi mattarella
E questo ha di fatto sempre protetto e tutelato chi aveva ucciso altri esseri umani».
Ieri la dottrina Mitterrand è stata sconfessata per sempre?
il commissario luigi calabresi
«Tutt' altro. Per una volta è stata invece applicata alla lettera, ristabilendo così un principio fondamentale ignorato per quasi quarant' anni. Ieri tra Italia e Francia è stata scritta una pagina importantissima per il rispetto delle verità storica e giudiziaria del nostro Paese».
Invece qual è il suo sentimento privato e personale?
«Come mia madre e i miei fratelli, non riesco a provare alcuna soddisfazione. L' idea che un uomo anziano e molto malato vada in galera non è di alcun risarcimento per noi».
La fuga in Francia non è stata una scelta ben precisa?
«Come no. Durante il processo di revisione a Mestre, un giorno mio fratello Paolo si rivolse a mia madre. Guardalo bene, le disse, che secondo me non lo rivedi più. Sapevamo che sarebbe successo».
Perché due anni fa decise di incontrarlo?
omicidio luigi calabresi a milano 17 maggio 1972
«Era giunto il tempo di guardarlo in faccia. Di fare una cosa per me stesso. Fu la prima cosa che gli dissi quando ci vedemmo in un hotel a Parigi. Sono qui non come giornalista, non come scrittore, ma come figlio del commissario Calabresi».
Ha trovato le risposte che cercava?
«Il nostro colloquio di quel giorno rimarrà sempre una questione privata, tra me e lui. Per me è stato un momento di pacificazione definitiva, che mi è servito molto. Credo che a livello emotivo non sia stato facile neppure per lui».
Che impressione le fece?
«Un uomo stanco e malato. Molto diverso dalla persona spavalda vista durante i processi. Oggi non provo livore o rancore nei suoi confronti».
Proprio Pietrostefani ha detto una volta che la verità storica sull' omicidio del commissario Calabresi non esiste.
«Penso che tutte le persone munite di onestà intellettuale debbano riconoscere che sulla morte di mio padre verità storica e verità giudiziaria coincidono».
Firmerebbe una eventuale domanda di grazia?
ovidio bompressi giorgio pietrostefani
«Non siamo nel Medioevo. Non sono le famiglie delle vittime a dover decidere, ma le istituzioni. Si tratta di un percorso e di decisioni da prendere nell' interesse generale.
Al netto delle condizioni di salute di Pietrostefani, penso piuttosto a un provvedimento generale, che arrivi alla fine di un percorso collettivo. Qualcosa di simile alla Commissione per la verità e la riconciliazione presieduta da Desmond Tutu in Sudafrica. Clemenza, in cambio della verità su quegli anni».
O dell' ammissione delle proprie colpe?
«Non mi aspetto alcun autodafé. Ma credo che queste persone ci debbano qualcosa.
Ci devono pezzi di verità. Sono uomini e donne che hanno partecipato a delitti che hanno segnato la storia di questo Paese. Ci mancano ancora dettagli, e soprattutto le loro voci per ricostruire quei fatti così tragici. Penso che dovrebbero assumersi le loro responsabilità».
E se lo facessero?
«Sarei il primo a chiedere un gesto di clemenza nei loro confronti. Credo che oggi raggiungere una verità definitiva abbia molto più valore che tenere quelle persone in galera per il resto della loro vita. All' improvviso abbiamo una occasione inattesa e irripetibile per fare un bilancio compiuto, con il contributo degli ultimi latitanti arrestati in Francia. Se si riuscisse a coglierla, sarebbe quasi doveroso un provvedimento che sancisca la fine di quella stagione».
La sua testimonianza ha contribuito a cambiare quel bilancio?
«Se fosse così, ne sarei fiero. Quando nel 2007 scrissi il libro che parlava di mio padre e della mia famiglia, per me era cambiare la narrazione su quegli anni, dove mancava del tutto il punto di vista delle vittime. Mai avrei immaginato di avere così tanto riscontro».
Quante volte le hanno chiesto se era convinto della colpevolezza delle persone condannate per l' omicidio di suo padre?
«Meno di quanto si possa credere. Al termine di un iter giudiziario lunghissimo, senza precedenti nella storia repubblicana in quanto a garanzie per gli imputati, non penso che qualcuno possa più avere dubbi».
A guardare indietro, c' è qualche dettaglio che più di altri le fa ancora male?
«Il giorno dopo l' omicidio di mio padre, sul Corriere della Sera apparve un solo necrologio firmato da un privato cittadino. Fatico a pensare alla solitudine che lo circondò anche da morto. Era tanto tempo fa, erano tempi feroci».
Passa spesso da via Cherubini?
paolo e mario calabresi con la madre gemma
«Ogni tanto ci vado. Mi fermo davanti alla lapide in pietra di montagna che ricorda mio padre. Ci sono sempre dei fiori e dei bigliettini portati dai milanesi. La gente capisce, e non dimentica. E questa per me è la cosa più importante».
luigi calabresi ovidio bompressi con la moglie adriano sofri giorgio pietrostefani e ovidio bompressiadriano sofri, il suo avvocato massimo di noia e giorgio pietrostefani gemma calabresi con i figli paolo, mario e luigiluigi calabresi ferma un manifestante omicidio calabresi
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